lunedì 10 settembre 2012

Il tracollo dell'industria discografica

Mi ricollego in parte al mio precedente post sui DRM, in cui avevo inserito un vago riferimento al mercato musicale. L'avevo già fatto e lo rifarò, perché in un momento come questo, in cui nasce e si sviluppa il mercato degli ebook, è quantomai opportuno conoscere ciò che è accaduto quando l'industria discografica ha vissuto una simile trasformazione.


Il sito a cui faccio riferimento è Digital Music News, che presenta risorse e notizie per gli addetti ai lavori. Io non sono un addetto ai lavori, ma seguo su faccialibro un chitarrista piuttosto noto che ha condiviso un interessante articolo sul declino dell'industria discografica.

Per i più pigri, faccio un breve riassunto. Il fatturato dell'industria US è calato dai 12 miliardi di dollari del 2001 ai 7 miliardi del 2011. Stiamo parlando di un decremento del 40% circa in 10 anni. L'altro dato che ci interessa è quello relativo al mercato digitale, che passa da 0 alla metà del fatturato totale nel 2011. Il che significa che il fatturato sul prodotto fisico, ovvero CD e LP, è crollato a soli 3,5 miliardi di dollari rispetto ai 12 di partenza, ovvero del 70%.
La fonte dei dati è la RIAA, una sorta di cartello messo in piedi dalle major discografiche americane.

Ora, se questi dati sono veritieri non stupisce che si parli di crisi. Certo, le cause di questo declino sono molteplici. C'è il prezzo dei CD, da molti ritenuto troppo alto, determinato da un'associazione che distribuisce il 95% della musica che trovate nei negozi - provate a controllare, le etichette indipendenti hanno prezzi inferiori. Come non dimenticare, poi, la presenza di troppi titoli, spesso a detrimento della qualità del prodotto. Sono tutte argomentazioni più che valide, ma che dire del digitale?
Innanzitutto, occorre precisare che l'avvento del digitale si ha con la comparsa dei CD nei negozi di dischi - termine che da allora designa il luccicante dischetto di nuova generazione e non più il vecchio vinile. Solo in seguito venne l'mp3, il formato audio più diffuso. L'mp3 per molti significa scaricare tramite software peer-to-peer (p2p), rubando all'industria una fetta del profitto di cui sopra.

Tutto nasce con un software chiamato Napster, lanciato nel 1999 e costretto allo spegnimento nel 2001 in seguito a una pesante causa legale. In seguito fu riaperto e modificato in modo da diventare una sorta di negozio dove si potesse scaricare musica, pagando un canone mensile che oggi dovrebbe essere di circa 10 dollari. Fu quello il periodo in cui qualcuno si inventò i DRM, come strumento per controllare che i file audio non venissero più condivisi come in precedenza. Napster rinunciò ai DRM solo nel 2008, evidentemente accorgendosi che rinunciare a questa fantomatica protezione poteva attrarre un maggior numero di utenti. I DRM, ricordiamolo, spesso causano problemi di compatibilità e rendono più difficile gestire un dato file.

Ovviamente, chiuso Napster i piccoli delinquenti cercarono altrove e trovarono nuovi programmi p2p che, rispetto al progenitore, avevano un vantaggio: non avevano bisogno di un server centrale e quindi, in linea di principio, nessuno poteva ordinare lo shutdown.

Ma come era incominciato tutto questo? Quando nacque l'mp3, era considerato un mezzo per diffondere musica indipendente, in modo gratuito. Un po' l'analogo dei vari ebook gratuiti che si trovano nella blogosfera. Il digitale era lo strumento attraverso il quale un gruppo musicale poteva diffondere la propria musica e farsi conoscere, senza dover distribuire in un locale o a un concerto il proprio cd (che ha un costo). Oggi esistono siti come Jamendo che raccolgono questa eredita, permettendo a gruppi e musicisti da tutto il globo di condividere la propria musica originale, rigorosamente gratuita e con una licenza Creative Commons. Vi consiglio di fare un giro. Ci sono parecchi artisti notevoli, per i generi più disparati.

Di contro, servizi a pagamento non hanno lo stesso successo del download illegale. Questo perché, fondamentalmente, le major hanno badato più a proteggere il loro prodotto che a renderlo fruibile. Perché se il sistema (l'mp3) consente la condivisione di file, non c'è modo di impedirla. Non a livello software. E ogni accorgimento limitativo, di conseguenza, si riflette su chi acquista. Se per ascoltare una benedetta canzone devo avere un certo dispositivo, o risiedere in un determinato luogo, è comprensibile* che uno scelga la strada più semplice, che oltretutto ha il vantaggio di essere del tutto gratuita.

Quindi, sarebbe colpa dei DRM se il mercato digitale è molto più piccolo del reale consumo di musica? Naturalmente no, è solo uno dei fattori. Tuttavia, porre limitazioni non aiuta. Anzi, l'effetto è controproducente, tanto che oggi, pur essendoci negozi con regole meno restrittive (DRM-free, formati alternativi, sample gratuiti) è ancora predominante** il p2p. Ed è un peccato, perché a rimetterci non sono i grandi nomi, che fanno ugualmente vagonate di soldi, ma i giovani talenti, gli indipendenti, chi suona per passione e non per lavoro (o per lavoro, ma non ha un nome famoso).
Ma questo, purtroppo, suppongo sia comune a molti settori.

È stupefacente come musica e libri stiano vivendo una storia molto simile, anche se ci troviamo in momenti diversi di questa storia. Libri e canzoni sono e rimarranno prodotti diversi. Musica non è solo CD, ma anche concerti, merchandise, radio e televisione, e persino vini, birra e vodka!
Se però è vero che la storia insegna, forse è bene riconoscere gli errori fatti ed evitare di ripeterli. Commetterne di nuovi, magari. Ma non gli stessi.


________________
*
Non sono un santerellino, ma qui non intendo giustificare nessuno. In questo articolo parlo di chi vende, non di chi ascolta.
**
Statistica fatta a caso. Se conoscete dei numeri, dispostissimo a integrarli e, eventualmente, ritrattare.

6 commenti:

  1. Il problema è che i dirigenti o piú in generale chi ha le redini della maggior parte dei settori sembra piú interessato all ' apparente vantaggio momentaneo che alla programmazione a lungo termine.
    Ecco perchètemo che l' industria editoriale compierá alla fine gli stessi errori di quella musicale.
    P.s
    Non ho resistito sei stato taggato per uno di quei fottutissimi meme.

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    1. Eh, infatti. Si capisce guardando il diverso approccio degli indipendenti/editori medio-piccoli!
      Quanto al meme, la prenderò con filosofia!

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  2. "I don't give a damn. I just want you to listen to our music. Fuck record labels. Download my music and share it with all your friends. Give it to whoever you want and let as many of your friends as possible listen to it."

    Trent Reznor

    http://www.youtube.com/watch?v=9cX_dO7cXrI

    c'ero quando lo disse a Bologna. ed è vero: al musicista arrivano le briciole, il rapporto è asimmetrico, fondamentalmente si paga la musica per ingrassare l'ingranaggio.

    bisogna tornare ad un rapporto diretto pubblico - musicista, senza intermediari. se, come dice Reznor, l'unico modo è comprare merchandise e andare ai concerti, questa è la strada da seguire.

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    1. Sì, probabilmente quello è il modo migliore per supportare un gruppo. Per chi sa suonare, naturalmente, perché in quei miliardi c'è anche un sacco di spazzatura!

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  3. Interessante questo post anche per il parallelo con il mondo dei libri!

    Oltre al tracollo dell'industria discografica credo che presto parleremo del tuo tracollo, visto che anch'io ti ho nominato per un meme!

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    1. Interessante, davvero. Chissà, magari tra dieci anni avremo di fronte un grafico simile anche per i libri, o forse no. Non credo nell'inevitabilità delle cose, a parte quelle di natura, naturalmente!

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