L'altro giorno, con un amico, discorrevamo del ciclo arturiano e della ricerca del Graal. Se si studia la successione in cui, secondo il canone, i cavalieri di Artù si avvicinano alla sacra reliquia, si può infatti ricostruire la storia di questa leggenda: un nucleo celtico (Galvano), i successivi innesti sassone (Parsifal) e normanno (Lancillotto), la conclusione cristiana (Galad). Il Graal stesso, poi, passa da essere un calderone con poteri miracolosi alla coppa che raccolse il sangue di Cristo, fino a diventare, giocando sull'etimologia del nome, il suo stesso sangue. Ma, sangue o non sangue, il punto è questo: l'origine del mito, e come la storia interagisce con esso.
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Ginevra in versione guerriera celtica. |
In questa versione cinematografica, Artù è un mezzosangue romano-bretone a capo di una unità di combattimento di élite composta da cavalieri Sarmati. I Sarmati erano un popolo iranico stanziati in una regione molto ampia a nord del Caucaso e del Mar Nero. Suddivisi in tribù, alcuni di essi ottennero di potersi stanziare nei territori di Roma a patto di servire sotto i vessilli imperiali; i Sarmati disponevano infatti della migliore cavalleria dell'antichità: arcieri a cavallo e cavalieri corazzati (catafratti). Chi ha giocato ad Age of Empires sa a cosa mi riferisco. Il loro impiego in Britannia, già dai tempi di Marco Aurelio (II secolo) è storicamente accertato, e fornisce agli sceneggiatori il pretesto per giustificare la nascita dei Cavalieri di Artù. Nel film i superstiti sono solo sei: Lancillotto, Tristano, Galvano, Galad, Bors e Dragonet.