Non voglio qui cercare la risposta a una domanda che l'uomo si pone dacché ha iniziato a filosofeggiare e che forse non troverà mai risposta, così lascio la parola a due autori che in questa disputa si sono buttati senza timori.
Rashomon di Akira Kurosawa
Nato come trasposizione cinematografica del racconto Nel Bosco di Ryūnosuke Akutagawa*, Rashomon è integrato con altri estratti dello stesso autore e, a quanto ho capito, modificato nel finale.
La trama in breve: in una giornata piovosa, tre uomini (un monaco, un taglialegna e un viandante) si riuniscono alla porta della città e discutono di un delitto avvenuto qualche tempo prima, l'uccisione di un samurai. La storia ci viene presentata tramite le deposizioni degli interessati, il brigante, l'assassinato (tramite un medium) e la moglie del samurai. A questo punto il boscaiolo, che ha assistito ai fatti, ci racconta una quarta versione. Ciascun racconto, con l'aggiunta di dettagli nuovi, contrasta con i precedenti, lasciando intendere che la verità, se esiste, è filtrata dalla coscienza e dalla personalità di chi la racconta. Ci si potrebbe chiedere perché il bandito, praticamente già morto, dovrebbe mentire, o perché dovrebbe farlo lo spirito del samurai. Si è portati a dare fiducia alla moglie, o al taglialegna in quanto non coinvolto nella colluttazione, ma entrambi hanno delle ragioni per nascondere o piegare la verità
A questo punto, subentra il monaco, se non ci si può fidare del prossimo il mondo rischia di diventare un inferno - e lo è già, secondo il passante. Si scontrano quindi non solo le storie raccontate da diversi punti di vista (e motivazioni), ma anche due visioni del mondo, quella di chi crede nella verità e di chi crede che essa non esista. La questione, naturalmente, non si risolve nel corso del film. Però, prima della fine c'è un avvenimento che restituisce un pizzico di speranza nel mondo degli uomini.
Film molto bello, ma come avrete capito tutt'altro che allegro.