Non voglio qui cercare la risposta a una domanda che l'uomo si pone dacché ha iniziato a filosofeggiare e che forse non troverà mai risposta, così lascio la parola a due autori che in questa disputa si sono buttati senza timori.
Rashomon di Akira Kurosawa
Nato come trasposizione cinematografica del racconto Nel Bosco di Ryūnosuke Akutagawa*, Rashomon è integrato con altri estratti dello stesso autore e, a quanto ho capito, modificato nel finale.
La trama in breve: in una giornata piovosa, tre uomini (un monaco, un taglialegna e un viandante) si riuniscono alla porta della città e discutono di un delitto avvenuto qualche tempo prima, l'uccisione di un samurai. La storia ci viene presentata tramite le deposizioni degli interessati, il brigante, l'assassinato (tramite un medium) e la moglie del samurai. A questo punto il boscaiolo, che ha assistito ai fatti, ci racconta una quarta versione. Ciascun racconto, con l'aggiunta di dettagli nuovi, contrasta con i precedenti, lasciando intendere che la verità, se esiste, è filtrata dalla coscienza e dalla personalità di chi la racconta. Ci si potrebbe chiedere perché il bandito, praticamente già morto, dovrebbe mentire, o perché dovrebbe farlo lo spirito del samurai. Si è portati a dare fiducia alla moglie, o al taglialegna in quanto non coinvolto nella colluttazione, ma entrambi hanno delle ragioni per nascondere o piegare la verità
A questo punto, subentra il monaco, se non ci si può fidare del prossimo il mondo rischia di diventare un inferno - e lo è già, secondo il passante. Si scontrano quindi non solo le storie raccontate da diversi punti di vista (e motivazioni), ma anche due visioni del mondo, quella di chi crede nella verità e di chi crede che essa non esista. La questione, naturalmente, non si risolve nel corso del film. Però, prima della fine c'è un avvenimento che restituisce un pizzico di speranza nel mondo degli uomini.
Film molto bello, ma come avrete capito tutt'altro che allegro.
La morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt
Questo libro mi è stato consigliato da un'amica e raramente consiglio fu così appropriato. La morte della Pizia è un libretto di poche pagine, che racconta una storia arcinota: Edipo, tenuto all'oscuro della sua reale ascendenza, salva la città di Tebe ma finisce per uccidere il padre e sposare la madre. Dal momento che è assai difficile raccontare questa storia meglio di Sofocle, il buon Dürrenmatt stravolge la prospettiva e la racconta dal punto di vista della Pizia dell'oracolo di Apollo a Delfi. Sì, quello dove tutti si recavano per sentirsi profetizzare ogni sorta di sciagura. Ecco, la Pizia è un personaggio estremamente interessante. Vecchia e cinica, non ha un briciolo di fede nelle divinità, ma un accordo economico con il sacerdote le consente di vivere di quelle che crede fandonie. Talvolta le capita di pronunciare verdetti su commissione (per finanziare l'ampliamento del tempio), per esempio da parte di quel vecchio calcolatore che è Tiresia, un nome piuttosto noto sia in questo mondo che nell'altro**.
Così, quando la Pizia si appresta finalmente a morire, riceve in visita Edipo, cieco e sorretto dalla figlia Antigone, e tutta una serie di personaggi coinvolti, ormai defunti e sopraggiunti come ombre dall'aldilà. Ciascuno di essi racconta una porzione della storia, la parte di cui è stato protagonista. A un certo punto giunge persino Tiresia, che dopo una lunghissima esistenza si appresta a morire nello stesso momento in cui morirà la profetessa.
È uno strano incontro. I due sono involontariamente artefici di una delle più atroci tragedie che l'antichità ci ha tramandato. L'uno, a causa delle sue bieche macchinazioni per evitare che a Tebe si instaurasse un regime autoritario guidato da Creonte (fratello di Giocasta, la madre/moglie di Edipo). L'altra, perché inconsapevolmente ha smontato queste macchinazioni con quella che riteneva essere una fandonia. E così, entrambi assistono a una processione di ombre, che riportano frammenti di verità che tuttavia non collimano, e così i due profeti si interrogano, in punto di morte, non tanto sull'esistenza della verità, quanto su come gli uomini riescano a darle forma. Citando il passaggio finale:
"Come io che ho voluto sottomettere il mondo alla mia ragione ho dovuto [...] affrontare te che hai provato a dominare il mondo con la tua fantasia, così per tutta l'eternità quelli che reputano il mondo un sistema ordinato dovranno confrontarsi con quelli che lo ritengono un mostruoso caos."
Questo libro mi ha lasciato un gran senso di precarietà, lanciato nel mezzo di uno dei grandi dibattiti degli ultimi secoli. Se da una parte è confortante pensare che sia presente un ordine naturale delle cose, d'altra parte è pur vero che quella rottura di cui parlavo l'altro giorno, seppur figlia del caos, può far sì che la mente si apra e si riesca a guardare il mondo in modo diverso, magari anche innovativo. Le grandi scoperte scientifiche spesso sono nate dall'intuizione, e così anche i grandi movimenti artistici di rottura - non importa che siano scienze naturali o umane.
Insomma, un libro piccolo piccolo ma con un respiro vastissimo. Può essere letto come racconto, perché gradevole e piuttosto divertente grazie agli anacronismi e alla riscrittura di alcuni episodi, oppure come un... non so bene cosa, un po' meno che filosofico e un po' più che: «Senti, questa è una di quelle questioni esistenziali irrisolte che riguardano l'umanità, il senso della vita e tutto il resto. Che ne diresti di dedicarci un paio di minuti?»
Ovviamente, consigliatissimi entrambi.
Per il mito di Edipo, su cui si è scritto anche troppo, c'è una buona trattazione (che però lascia fuori l'Antigone) in quel libro di Vernant in cui ho scoperto le Chere: L'universo, gli Dèi, gli uomini.
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Non l'ho letto, ma potete trovare qui un interessante articolo su Akutagawa. Confido che l'autore non esiterà a correggere mie eventuali imprecisioni.
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Tiresia è presente praticamente in tutto il ciclo tebano, nonché nell'Odissea, quando Ulisse si reca sulla soglia dell'oltretomba per parlare con lui.
Questo libro mi è stato consigliato da un'amica e raramente consiglio fu così appropriato. La morte della Pizia è un libretto di poche pagine, che racconta una storia arcinota: Edipo, tenuto all'oscuro della sua reale ascendenza, salva la città di Tebe ma finisce per uccidere il padre e sposare la madre. Dal momento che è assai difficile raccontare questa storia meglio di Sofocle, il buon Dürrenmatt stravolge la prospettiva e la racconta dal punto di vista della Pizia dell'oracolo di Apollo a Delfi. Sì, quello dove tutti si recavano per sentirsi profetizzare ogni sorta di sciagura. Ecco, la Pizia è un personaggio estremamente interessante. Vecchia e cinica, non ha un briciolo di fede nelle divinità, ma un accordo economico con il sacerdote le consente di vivere di quelle che crede fandonie. Talvolta le capita di pronunciare verdetti su commissione (per finanziare l'ampliamento del tempio), per esempio da parte di quel vecchio calcolatore che è Tiresia, un nome piuttosto noto sia in questo mondo che nell'altro**.
Così, quando la Pizia si appresta finalmente a morire, riceve in visita Edipo, cieco e sorretto dalla figlia Antigone, e tutta una serie di personaggi coinvolti, ormai defunti e sopraggiunti come ombre dall'aldilà. Ciascuno di essi racconta una porzione della storia, la parte di cui è stato protagonista. A un certo punto giunge persino Tiresia, che dopo una lunghissima esistenza si appresta a morire nello stesso momento in cui morirà la profetessa.
È uno strano incontro. I due sono involontariamente artefici di una delle più atroci tragedie che l'antichità ci ha tramandato. L'uno, a causa delle sue bieche macchinazioni per evitare che a Tebe si instaurasse un regime autoritario guidato da Creonte (fratello di Giocasta, la madre/moglie di Edipo). L'altra, perché inconsapevolmente ha smontato queste macchinazioni con quella che riteneva essere una fandonia. E così, entrambi assistono a una processione di ombre, che riportano frammenti di verità che tuttavia non collimano, e così i due profeti si interrogano, in punto di morte, non tanto sull'esistenza della verità, quanto su come gli uomini riescano a darle forma. Citando il passaggio finale:
"Come io che ho voluto sottomettere il mondo alla mia ragione ho dovuto [...] affrontare te che hai provato a dominare il mondo con la tua fantasia, così per tutta l'eternità quelli che reputano il mondo un sistema ordinato dovranno confrontarsi con quelli che lo ritengono un mostruoso caos."
Questo libro mi ha lasciato un gran senso di precarietà, lanciato nel mezzo di uno dei grandi dibattiti degli ultimi secoli. Se da una parte è confortante pensare che sia presente un ordine naturale delle cose, d'altra parte è pur vero che quella rottura di cui parlavo l'altro giorno, seppur figlia del caos, può far sì che la mente si apra e si riesca a guardare il mondo in modo diverso, magari anche innovativo. Le grandi scoperte scientifiche spesso sono nate dall'intuizione, e così anche i grandi movimenti artistici di rottura - non importa che siano scienze naturali o umane.
Insomma, un libro piccolo piccolo ma con un respiro vastissimo. Può essere letto come racconto, perché gradevole e piuttosto divertente grazie agli anacronismi e alla riscrittura di alcuni episodi, oppure come un... non so bene cosa, un po' meno che filosofico e un po' più che: «Senti, questa è una di quelle questioni esistenziali irrisolte che riguardano l'umanità, il senso della vita e tutto il resto. Che ne diresti di dedicarci un paio di minuti?»
Edipo risolve l'enigma della Sfinge e salva Tebe. |
Ovviamente, consigliatissimi entrambi.
Per il mito di Edipo, su cui si è scritto anche troppo, c'è una buona trattazione (che però lascia fuori l'Antigone) in quel libro di Vernant in cui ho scoperto le Chere: L'universo, gli Dèi, gli uomini.
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Non l'ho letto, ma potete trovare qui un interessante articolo su Akutagawa. Confido che l'autore non esiterà a correggere mie eventuali imprecisioni.
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Tiresia è presente praticamente in tutto il ciclo tebano, nonché nell'Odissea, quando Ulisse si reca sulla soglia dell'oltretomba per parlare con lui.
Di "Rashomon" ho sentito parlare all'università come emblema di un testo in cui i punti di vista paiono influenzare l'oggettiva realtà.
RispondiElimina"La morte della Pizia" l'ho letto ed è davvero un piccolo capolavoro.
Bellissimo post, di ampio e filosofico respiro!
Grazie a te! Senza il tuo suggerimento non sarebbe mai stato possibile.
EliminaMacché correggere! Anzi, complimenti per l'ottima analisi. Oggi hai davvero raggiunto i tuoi vertici espressivi.
RispondiEliminaLa morte della Pizia invece non la conoscevo (di Durrenmatt ho letto solo "Il tunnel"). Vedrò di recuperarlo.
P.S.: ... e grazie per il link!
Ma non esageriamo! :P
EliminaDi Durrenmatt ho visto in giro due o tre libricini, uno dei quali l'ho preso al Salone del Libro. Per quanto concerne la Pizia, posso dire che è reperibile con estrema facilità e si legge velocemente. Se lo adocchi, vai sicuro.
La morte della Pizia è un gran bel racconto. Oltre che sulla verità mi è sempre sembrato un racconto feroce sull'ingegneria sociale e sulla politica in genere. Calcoli e progetti, piani, idee: e alla fine tutto va a ramengo perché le variabili sono troppe e le costanti troppo poche.
RispondiEliminaSi presta anche a questa riflessione, soprattutto quando entra in scena Tiresa che svela il suo obiettivo riguardo a Tebe. Un discorso simile c'è anche nel secondo (?) libro del ciclo della Fondazione di Asimov, di tutt'altro tenore. Lì la sociologia è ridotta a un insieme di equazioni e ha raggiunto lo stadio "positivo" (reminescenze comtiane...) ma spunta fuori un fattore aleatorio che manda a ramengo le precisissime previsioni, fino ad allora sempre verificate.
EliminaA volte la tensione tecnocratica di Asimov è snervante. Come in quel libro che scrisse con Silverberg, Notturno, che rielabora un racconto di Asimov. L'ultima parte, in cui la fregnaccia tecnocratica e paternalistica si disvela in piena potenza, è insopportabile. Rovina il resto. Specie la prima parte, che è proprio bella.
EliminaCapisco quello che dici, anche se non ho letto il libro che citi. Asimov sa essere estremamente paternalistico. Ricordo "Il tiranno dei mondi" con quel finale... lasciamo perdere, ecco (anche perché il libro mi stava piacendo).
EliminaLetti tutti e due ma in tempi diversi e non mi è mai passato in mente di porli in relazione. Davvero un post interessante, anche per la capacità di suscitare lo stesso sottile senso di smarrimento tipico del miglior fantastico. Scusa per la brevità al limite dell'assurdo ma ho in casa un micio di due mesi e un cane gelosissimo...
RispondiEliminaAhah, capisco! A due mesi, i mici sono esigenti.
EliminaLa morte della Pizia è un titolo che, stranamente, mi è comparso davanti molto spesso in questi giorni. Direi che a questo punto è il caso di farci un pensiero. Grazie per averlo suggerito!
RispondiEliminaA furia di comparirti davanti, vedrai che troverai l'occasione per appropinquartici.
EliminaNon conoscevo la morte della Pizia, credo sia doveroso recuperarlo. Rashomon invece...wow. Da qualche parte ho letto che ha ispirato Tarantino per Reservoir Dogs (Le Iene).
RispondiEliminaOttimo articolo comunque
Dovrei rivederlo per tentare un confronto. Credo però che, in quanto film di Tarantino, sia prima di tutto Tarantino stesso a emergere come principale fonte di ispirazione.
EliminaNon conoscevo "Rashomon", che però ora mi piacerebbe vedere.
RispondiElimina"La morte della Pizia" è nella mia libreria e devo dire che ora mi è proprio venuta voglia di leggerlo, quindi considerati responsabile :)
Spero di essere all'altezza.
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