giovedì 3 aprile 2014

Tu non sei uno scrittore


Prima di tutto, una precisazione: nonostante il tono, quello che segue è un post serissimo. Nasce da un insieme di sollecitazioni esterne (post letti altrove), considerazioni maturate in vari momenti ma mai trascritte.
Se vi riesce, vi chiedo di darmi corda e di fare attenzione alle parole usate.

Seconda precisazione: per semplicità, qui si parla di narrativa.

Quindi, dicevamo...
Tu (#swoosh#) sei uno scrittore, o dici di esserlo.
Se scrivi, naturalmente, sei uno scrittore. Ciò è un mero dato di fatto, derivante dalla definizione del termine "scrittore".
Non lasciare che nessuno dica che non lo sei, perché mentirebbe.

Scrivere è un diritto.
Mi permetto di citare la Dichiarazione universale dei diritti umani, probabilmente il singolo testo più largamente sottoscritto dai rappresentanti dei popoli della Terra (nonché il più disatteso):

"Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere." (Art. 19)

"Ogni individuo ha diritto all'istruzione." (Art. 26)

Dal momento che la scrittura è la principale conquista dell'umanità, un essere umano istruito può esprimersi come gli pare, per esempio scrivendo.

Bada bene: scrittura è espressione ma è anche arte. È qui che molti si confondono.

Gli antichi Greci, molto più saggi di noi, usavano la parola τέχνη, che indica sia l'arte sia quella che chiamiamo tecnica. Arte è quella Leonardo, ma anche quella del bambino che disegna il cielo come una riga azzurra. Scrittura è quella di Borges: ciò non significa che non ti possa paragonare ai grandi autori, anzi, solo che il confronto risulterebbe impietoso.

La distinzione tra autori e scrittori è posticcia, poiché come mi insegna un'amica i sinonimi non esistono. Anche quella tra scribacchini e scrittori, per quanto simpatica e modesta, non è che una via per riscuotere un sorriso. Per definire i grandi scrittori si può attingere all'ampia offerta di aggettivi che la nostra lingua ci offre. "Grandi", appunto, è un buon aggettivo. Alcuni poi sono "classici". Altri addirittura "geniali".
Ma non è di loro che stiamo parlando, giusto?

In prima approssimazione, ciò che ti separa da Kafka è la genialità. Se non è così me ne scuso, ma la probabilità è assai remota e, detto francamente, dubito che in tal caso seguiresti il mio blog.
Ciò che ti separa da Stephen King sono un numero spropositato di copie vendute, film e la capacità di influenzare un'intera generazione.
Ciò che ti separa da Fabio Volo sono le copie vendute, mentre il resto, a giudicare dalla sua abilità nel raggiungere l'umano medio, probabilmente va a tuo vantaggio.

Il problema è che di questo passo prima o poi raggiungerai qualcuno al tuo stesso livello. È inevitabile, a meno di essere l'ultimo degli ultimi, ma in ogni caso varrebbe per una sola persona.
Pensaci.
Ti è capitato di dire: «Posso fare di meglio?»
Non c'è nulla di cui vergognarsi: Edgar Rice Burroughs l'ha fatto e ci ha lasciato Tarzan e John Carter; quanti altri eroi dell'epoca pulp sono sopravvissuti?

Fare di meglio per molti è una spinta a scrivere, ma dobbiamo proprio parlarne? Sulle motivazioni sono state spesi fiumi di inchiostro bit, a cui ho poco da aggiungere. Qui entrano in gioco diverse visioni del mondo, per cui non cercherò di imporre la mia.
Bisogna tuttavia evitare di confondere causa ed effetto. Non è il fatto di aver pubblicato Tarzan che rende Burroughs uno scrittore, perché la scrittura è qualcosa che sta alla base del processo creativo, non alla fine o addirittura dopo.

Ho letto moltissime definizioni di cosa sia la scrittura e una cosa è certa: uno non scrive un romanzo. Un romanzo, inteso come quel fascicoletto di fogli stampati in serie, è un prodotto editoriale che richiede molto più della sola scrittura.
Discorso simile per un ebook, posso testimoniarlo. Ho lavorato moltissimo alla realizzazione dell'ebook 3Narratori* ma ne ho scritto soltanto l'introduzione.

Molto spesso leggo che il problema è che in Italia ci sono troppi scrittori. Sinceramente, non vedo quale possa essere il problema, dato che il dato significa che:
- c'è un'alfabetizzazione diffusa,
- molte persone hanno trovato un mezzo espressivo adeguato alle loro storie.

Certo, se sei un editore il tuo problema è che ti arrivano un'infinità di manoscritti. Ma tu sei uno scrittore, per cui la tua prospettiva è diversa.
Non c'è un modo innocuo per dirlo: scrivere e pubblicare sono a due diversi livelli.

Ecco, è qui che vorrei arrivare. Le invenzioni dell'era moderna, dalla stampa a caratteri mobili all'ePub, hanno gradualmente esteso le possibilità di accesso al pubblico. La pubblicazione non è diventata un diritto ma è un servizio a prezzo sempre più basso. Non di pari passo è andata crescendo la... possiamo chiamarla maturità? Consapevolezza?
Questa, almeno, è la mia impressione.
Perché c'è chi scrive per pubblicare e non legge.
C'è chi scrive e non legge...

Questo era un po' il tarlo che avevo in testa. Mi dispiace perché il discorso coinvolge me e alcune care persone. C'è chi è fin troppo severo con se stesso e chi passa con estrema facilità da un livello all'altro, non ci posso far nulla, ma quello che più mi infastidisce è che l'oggetto delle discussioni è sempre quello sbagliato: la scrittura.
Credo che per parlarne serenamente, senza incentivare l'analfabetismo, occorra prima di tutto fare chiarezza.

Spero di essere riuscito a farmi capire.
In entrambi i casi e tutte le sfumature, tu non demordere.

______
*
A proposito, tu che sei scrittore, hai pensato di partecipare al contest quest'anno? Argonauta Xeno wants you!

27 commenti:

  1. Strano quanto spesso noi tiriamo fuori l'argomento dell'umiltà, dello scrivere che non è per forza pubblicare, e, soprattutto, del leggere, che è necessario per saper scrivere. Noi lettori, stranamente, sentiamo, ancor più di alcuni scrittori, il bisogno di sottolineare questi concetti, perché è proprio leggendo che si acquista la consapevolezza di cui parlavi prima. Io, personalmente, più leggo e più mi sembra un azzardo, una prepotenza, accaparrarsi il diritto a scrivere (lo scrivere del pubblicare, ovviamente). Com'è questa cosa?

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    1. Perché chi legge non fa confusione tra le due cose. Non è umiltà, è comprendere che sono due cose diverse. Chi non legge non ha strumenti per capire la differenza. E' brutale dirlo in questa maniera, ma è ignorante.
      Questa è la mia spiegazione del fenomeno. :)

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    2. Mi ritrovo nelle parole di Maria. Anche io, più leggo e più mi sembra un azzardo provare anche a scrivere un racconto da pubblicare sul blog. Mi sento inadeguata mi viene da chiedermi se davvero ho qualcosa da dire. La risposta è sempre la stessa "Non ho nulla di interessante da raccontare, niente che lasci il segno". Questo, purtroppo non sembrano pensarlo in molti (basta guardare la mole di autopubblicati brutti su Amazon).
      Sono d'accordo con te comunque, Salomon: chi non legge non ha gli strumenti per capire la differenza. E, detto tra noi, nemmeno è interessato. C'è questa convinzione che siccome ce la fanno tutti a scrivere (lo impari in prima elementare, in effetti) allora si è tutti in grado di fare gli scrittori. Peccato che sapere l'alfabeto è ben diverso dall'essere Umberto Eco. Ma tant'è...

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    3. C'è però differenza tra pubblicare un raccontino sul blog e caricarlo su Amazon. Postalo (tu generico, non so se anche tu scrivi), perché può essere assai istruttivo! :)

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    4. Sì, certo che c'è differenza (abissale). Però se non si ha nemmeno l'umiltà di pensare bene prima di pubblicare su un blog, figurati nell'altro senso! Insomma, tutto questo per dire che concordo con te. Ecco.
      Sì, scrivo ogni tanto. Ma ne ho ancora troppa vergogna, così tengo tutto per me ;)

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  2. io mio malgrado rientro nella definizione di "scrittore che pubblica", ma mi considero prima di tutto un lettore. per questo a volte rimango un po' perplesso quando vedo le due figure contrapposte, come se fossero due ruoli antagonisti e non complementari. è da una riflessione del genere che infatti è scaturito il mio post di qualche giorno fa sull'"ignoranza" del lettore.

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    1. Ah, guarda, nel mio caso quelle due cose che scrivo nascono dal fatto che mi piace moltissimo leggere. Non riesco proprio a immaginare la contrapposizione!

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  3. Una bellissima riflessione, molto sentita e accorata. Quel rivolgersi direttamente al "tu" con tanta foga la rende ancora più incisiva.
    Sono d'accordo anch'io sul fatto che scrivere rendere scrittori... del resto il sottotitolo del mio blog è ancora: "Uno scrittore non è colui che scrive per vivere ma chi vive per scrivere."

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  4. Non so se riuscirò "a metter a fuoco" il tuo pensiero con questa riflessione, ma ci provo.
    Secondo il tuo [puntuale ed esaustivo, ma non stringato exursus] non è tanto capire chi è uno scrittore, quanto l'approccio del presunto tale. Se cosi fosse, hai la mia solidarietà.

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  5. Ho forti dubbi sull'alfabetizzazione: non tutti quelli che scrivono e si autopubblicano sanno scrivere bene in italiano. Non dico storie decenti, parlo di correttezza del linguaggio.

    E non si tratta di maturità se sempre più persone si autopubblicano: si tratta solo di cogliere al volo la semplicità di pubblicare che esiste oggi.

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    1. Scusa, forse mi sono spiegato male. Non volevo dire che è la maturità a far sì che sempre più persone si autopubblicano, ma che se ci fosse maggiore maturità ci sarebbero meno autopubblicazioni di bassa qualità. Poi sono d'accordo con te: è estremamente semplice e praticamente gratuito autopubblicare oggi, cosa che prima poteva riguardare solo una ristretta élite - quella che poteva permettersi anche di studiare.

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  6. Mi capita spesso, da quando ho approfondito il discorso di Montale sulle possibilità della poesia nella società di massa, di chiedermi se il rapporto fra diffusione della comunicazione e qualità dei testi diffusi non sia troppo sbilanciato in senso inversamente proporzionale: tutti possono scrivere, ma questo significa anche che non scrive più solamente chi abbia una padronanza decente del linguaggio e qualcosa da dire... il che porta ad un abbassamento del livello di cò che si pubblica. Si tratta di un processo che lascia sempre meno spazio alla consapevolezza e alla criticità e sono perfettamente d'accordo sul ritenere tale maturazione essenziale: non si può scrivere se non si è prima di tutto lettori consapevoli e se non si è disposti a mettere in dubbio ogni singolo concetto espresso. Sottoscrivo, inoltre, quanto afferma Nereia: saper mettere in fila lettere e parole non significa saper scrivere, ma ho anche il dubbio che tutta questa folla di scrittori (autopubblicati o meno) non sempre abbia la cognizione della grammatica di base.

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    1. Credo che l'abbassamento della qualità sia inevitabile quando qualcosa diventa "di massa". E mi riferisco a qualsiasi cosa, non necessariamente alle opere d'arte o di narrativa. Però non c'è la necessità che se il livello della scrittura è basso lo sia anche quello delle pubblicazioni. Né che si pubblichi solo libri di qualità AAA, perché la narrativa di consumo, correggimi se sbaglio, esiste da quando è iniziata l'alfabetizzazione delle fasce di popolazione che non avevano accesso all'istruzione. Noi oggi leggiamo Stendhal e Cervantes, ma anche allora, dai riferimenti nelle loro opere, si evince che c'era parecchia fuffa!

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  7. Mi dispiace, forse sono io, ma non ho proprio colto il senso di questo post! Il discorso sì, hai messo giù una serie di constatazioni correttissime, però non mi è chiaro il punto che volevi esprimere.
    O forse il punto era tutto condensato in quell'ultima frase?

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    1. Non voleva essere un post motivazionale, Marco, per il 90% è un ragionamento emotivo. Poi, come vedi, ciascuno ha letto qualcosa di diverso. Dico solo che scrivere significa scrivere e basta, caricarlo di altri significati rende solo il discorso un pelino più confuso di quanto permetta una discussione serena. Non so quanto frequenti la blogosfera, ma di polemiche sugli scrittori abbondano e trovo che, perlopiù, nascano da questo equivoco di fondo - e di conseguenza le critiche non sono nemmeno efficaci!

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    2. Allora devo concordare con te, Marco. Spesso sento dire della "funzione terapeutica della scrittura" o che "scrivere è sofferenza" (questa è una perla di Susanna Tamaro). Personalmente io non ne posso più di sentir dire robe del genere. Anche per me scrivere è scrivere. Punto. E' una mia passione, un piacere, e soprattutto un divertimento, costa impegno e sacrificio, ma nulla più, altro che quell'alone di autocompiacimento e masochismo che sembra contagiare molti (tra l'altro era un pensiero che avevo già espresso tempo fa nella mia intervista sul blog di Romina). La pensiamo allo stesso modo.

      Marco

      P.S. = La blogosfera la frequento fino a un certo punto (polemiche ne ho lette di recente anche solo sullo scrivere/rispondere/visitare i blog), ma io mi tengo ben alla larga dalle polemiche! Visito solo i blog amici come il tuo.

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  8. Non so se ho colto il senso di questo post. Io comunque scrivo, il guaio è che mi leggono in pochi :)

    Per quanto riguarda le autopubblicazioni di scarsa qualità (per questo intendo ciò che scrivono coloro che non hanno nemmeno le basi minime) esse sono inevitabili, così come sono inevitabili i danni che recano con la loro stessa presenza, creando un marasma di materiale tra cui il lettore che deve scegliere si perde.
    Immagino sia questa la differenza che ancora possono fare le case editrici autorevoli.

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    1. Sì, la penso anch'io così. O meglio, che potrebbero fare riuscissero a conservare l'autorevolezza pubblicando meno fuffa e continuando a badare alla qualità. Però, ripeto, scrivere non implica pubblicare: non è un atto compulsivo!

      Fra parentesi, prima o poi la leggerò quella storia. Abbi pazienza. :)

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  9. Io penso di essere uno scrittore... ma è una verità molto personale

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  10. Non commento mai sul tuo blog, non perché non lo legga, ma solo perché normalmente ho poco da aggiungere a ciò che scrivi.
    In questo caso dico la mia.
    Ma la dico con una frase trovata oggi, cercando altro.
    Perché se è vero che noi possiamo fare meglio di altri, possiamo anche ammirare chi fa meglio di noi, riconoscerne il merito e trarne ispirazione.
    Perciò...

    “What is literature, and why do I try to write about it? I don’t know. Likewise, I don’t know why I go on living, most of the time. But this not knowing is precisely what I want to preserve. As readers, the closest way we can engage with a literary work is to protect its indeterminacy; to return ourselves and it to a place that precludes complete recognition. Really, when I’m reading, all I want is to stand amazed in front of an unknown object at odds with the world.”

    È di M. John Harrison.
    E non so se abbia davvero attinenza col tuo post.
    Ma a me pare di sì.

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    1. Ha più attinenza di quanto sembri, in effetti, soprattutto la conclusione. Grazie per la citazione!

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