Un giorno, mentre vagava sotto il sole di Roq, il giovane Kassir raggiunse un'oasi dove si erano accampati alcuni predoni, cinque in tutto. Si avvicinò con circospezione. Il loro capo, guercio e con un torace possente, lo chiamò: «Avanza, pastore. Siedi con noi! Mangerai e berrai insieme a noi, il prezzo lo stabiliremo alla fine.»
Kassir si sedette e si rinfrescò, accettando quanto gli veniva offerto. Era però preoccupato dal prezzo che avrebbe dovuto pagare. Dovete infatti sapere che gli uomini del deserto erano avidi e spregiudicati, tanto pronti al riso quanto lo erano alle feroci incursioni nei villaggi ai margini del deserto, che depredavano di ogni ricchezza.
A sua volta, il giovane volle condividere con i briganti il vino speciale che portava con sé, ottenuto come pagamento per i servigi offerti a un mercante. L'otre fece il giro dei presenti e Kassir sperò che fosse abbastanza da lasciarlo andar via indenne.
Alla fine del pranzo, il capo volle raccontare una storia. Roteò uno spiedo ancora gocciolante e disse: «Quando ero giovane vivevo in un villaggio, tra pastori. La terra era arida né dava frutti. I fratelli erano magri e mia madre, per ingannare la morte, vendette le sorelle per procurarci da mangiare. Mio padre era scomparso che nemmeno lo ricordo, lasciandoci soli in condizione di povertà e debolezza. Un giorno ci fu una scorreria. I guerrieri, impietositi dalla nostra situazione, risparmiarono mia madre e si portaron via uno di noi. Da allora vivo nel deserto e non sono mai tornato al villaggio. Una volta incontrai un fratello. Si era costruito una casa poche leghe a nord di qui, troppo vicino al deserto.» Il predone sputò sulle braci. «L'ho sventrato dov'era, ho posseduto la sua donna e razziato i suoi averi. Certi uomini non imparano. Io sono nato debole, ma ora sono un capo. Ora sono forte!»
La modesta orda acclamò il condottiero, issando l'otre per un secondo giro. Intonarono un canto sguaiato. Terminate le sconcezze, il capo si piegò verso l'ospite, fissandolo con l'occhio buono. «Ora tocca a te, pastore. Raccontami la tua storia.»
Kassir non esitò e cominciò subito il racconto: «Sono nato in un villaggio slle colline Siffar, in una famiglia di pastori. Ricordo le scorrerie di predoni, ricordo la carestia di cui gli anziani parlano con terrore per spaventare i bambini. Un giorno chiesi loro il permesso di viaggiare in cerca di fortuna, e lo ottenni. Da allora girai il mondo. Vidi terre fertili, bagnate dal fiume, e villaggi che non conoscevano la fame. Così seppi che il mio popolo era nato debole, vittima dei predoni e ignaro della fortuna delle altre genti.»
Mentre il giovane parlava, i briganti bevevano, mangiavano ancora e si sbeffeggiavano l'un l'altro. Solo il capo sembrava attento alla sua storia.
«Quando tornai a casa, mi fu presto chiaro che erano questi i nemici che riducevano il mio popolo in povertà. Un popolo è come sabbia. Non ha forma. Se però è chiuso in un contenitore, come quell'otre, ne prende la forma. Il nostro otre è dato dal deserto, dal sole e dalle scorribande.»
I predoni reagivano con minor vigore. Si muovevano con lentezza, i loro versi erano privi di senso. Il capo, faticando a tenere l'occhio aperto, rombò: «Pensi questo, pastore? Ebbene, io ti dichiaro debole come eri quando hai lasciato il villaggio. Consegnami ciò che possiedi, poi potrai ritornare al villaggio sul fiume.»
Il capo si alzò agitando lo spiedo, che però gli sfuggì di mano. L'uomo tentò di afferrarlo, ma si sbilanciò e rotolò anche lui a terra. Disteso sulla sabbia, guaì: «Cane! Cosa mi hai fatto?»
Kassir si avvicinò. Lentamente. Raccolse da terra lo spiedo e disse: «Non dare la colpa a me. Sei caduto vittima della tua stessa debolezza, accettando il dono di un innocuo pastore. Avresti dovuto prima ascoltare il racconto, ora io porrò fine al tuo comando.»
Pronunciate queste parole, Kassir lo trafisse e fece lo stesso con i suoi compagni. Dopo si riposò, lasciando passare le ore più calde. Verso sera si avviò verso le colline, portando via tutto ciò che di valore avevano i predoni.
Kassir aveva inferto un primo taglio all'otre.
Cratere di Aristonothos. Accecamento di Polifemo |
Bravo Kassir.
RispondiEliminaMai sottovalutare nessuno.
Gli sciagurati sono sordi all'apprendimento. :)
EliminaMolto piacevole. Mi chiedo soltanto: se era il vino offerto dal pastore a essere drogato, perché su di lui la droga non ha funzionato? Non ne ha bevuto? Ha finto di farlo? Ovviamente non è un vero problema, ma un lettore, fatalmente, se lo chiede ; )
RispondiEliminaNon lo beve. Hai ragione, nel testo manca. Il capo dei predoni avrebbe dovuto insospettirsi e invece l'hai fatto tu! ^^
EliminaSemplice e diretto, non male :) L'unico dubbio che avevo è quello che ha già posto Maxciti, quindi non c'è bisogno che ne parli anche io.
RispondiEliminaUn personaggi particolare, questo Kassir.
L'immagine dei popoli come sabbia mi è piaciuta molto!
Avevo pensato all'acqua, poi mi sono reso conto che era poco adatto al contesto geografico. Inoltre, la sabbia ha un aspetto positivo: i granelli, le parti che la compongono, sono visibili e pertanto l'immagine è ancora più significativa. (E me l'ha fatto notare Max, anche se in via indiretta.)
EliminaMi è piaciuto moltissimo, soprattutto per l'idea di vedere un popolo come della sabbia. Bravo.
RispondiEliminaPiace a tutti, vedo!
EliminaCaspita che giro per poterla leggere, lungo quanto l'applauso che le faccio a mani aperte e senza un sorso d'acqua per... grazie Salomon!
RispondiEliminaKassir le deve tutto, anche la fascinazione del lettore.
I miei ringraziamenti.
EliminaCapisco la difficoltà nel trovare un racconto, sono rari come l'acqua nel deserto!