venerdì 16 maggio 2014

George R. R. Martin e lo spirito dei sixties

The Armageddon Rag (1983) è probabilmente il libro di Martin che mi è piaciuto di più, per cui non stupitevi se ne parlerò in modo appassionato. Avevo già iniziato a esplorare la produzione dello zio Martin precedente alla sua famosa saga fantasy, scoprendolo autore di alcuni ottimi racconti e di un buon romanzo di fantascienza che aveva il suo punto di maggiore forza nella costruzione di un mondo crepuscolare e isolato. The Armageddon Rag fu molto importante per la sua carriera perché, nonostante un buon responso dalla critica, non incontrò il successo sperato e mancò poco che egli smettesse di scrivere.

Il romanzo è ambientato nei primi anni '80. Sandy Blair, ex sessantottino ed ex giornalista per una testata musicale alternativa, è diventato uno scrittore di discreto successo con ormai cinque romanzi all'attivo. Ha una macchina sportiva, una collezione di vinili e una casa a New York dove abita con la sua compagna. Ed è bloccato a pagina 37 del nuovo romanzo, a soli tre mesi dalla scadenza. A distoglierlo dai propri doveri ci pensa il suo vecchio editore, che lo chiama per scrivere una retrospettiva in occasione dell'omicidio di uno di quei produttori musicali che hanno fatto la storia del rock. Sandy accetta, ma ben presto si rende conto che la morte del produttore è avvolta nel mistero e sembra essere collegata alla storia di uno dei gruppi di cui il defunto era manager: i Nazgûl. Nonostante i pareri contrari del suo rappresentante, della compagna e, in ultimo, anche dell'editore della rivista, Sandy intraprende una personale peregrinazione negli Stati, incontrando gli ex componenti della band e alcuni vecchi amici di cui aveva perso le tracce; il viaggio si trasforma ben presto in un viaggio alla ricerca di ciò che è sopravvissuto della rivoluzione, della musica e di tutto il resto, per rispondere a una elementare domanda:

‘Where do you belong, then?’

Ciascuno dei suoi amici ha trovato una sua risposta. Bambi è tornata a vivere in una comune hippie, Lark è entrato nel mondo della pubblicità e si fa chiamare Steve, Froggy è un rispettabile professore che cerca nelle nuove generazioni la scintilla di ribellione che sembra essersi perduta. Ciascuno di loro è un tassello di un affresco complesso, che risponde alla domanda: che ne è stato di ciò che eravamo? C'è chi ha conservato i propri ideali e chi se ne è distaccato professandosi maturato, cresciuto; e in sottofondo permane il dubbio che i sopravvissuti abbiano conservato la frattura, piuttosto che arrivare a una sintesi. L'aspetto emotivo è molto importante, sia perché accompagna il protagonista nel suo viaggio interiore, sia perché fornisce consistenza al romanzo.

‘Change,’ Sandy said bitterly. ‘Maggie, we wanted change, that was what it was all about. We were going to change the fucking world, weren’t we? Shit. Instead the fucking world changed us.’

Ruolo centrale nel romanzo, così come nella storia, ha la musica rock. Martin imbastisce un gruppo feticcio, prendendo in prestito suggestioni da gruppi e cantanti realmente esistiti, e lo caratterizza benissimo. Nei Nazgûl riversa infatti tutto il suo competente lavoro di costruttore di mondi, dando vita a tre musicisti a tutto tondo, a una discografia rispettabile e soprattutto alle loro canzoni, che in alcuni momenti mi è sembrato di riuscire ad ascoltare. In particolare, l'ultimo album che sembra presagire le circostanze della morte del loro manager e di ciò che seguirà. La musica è la vera magia. Se avete letto che questo romanzo è un mistery-fantasy, o qualcosa del genere, sappiate che è una mezza verità. La prima metà del libro è in effetti incentrata sul misterioso omicida e sui collegamenti che puntano ai noti veterani del rock; nella seconda metà si fa strada l'elemento fantastico, inizialmente vincolato al mondo onirico, che defluirà poi nella nostra realtà grazie alle note dei Nazgûl.

‘The music, Sandy, the music. It was our fuel, it was our spirit, it inflamed us and exalted us and gave us courage and purpose and truth. The songs were more than songs. They caught and shaped our minds and souls, and they summoned up something primal in the universe, and in us.’

Sia chiaro che questo romanzo non è per tutti. Ho parlato del successo di critica, ma in termini di vendite fu un disastro, ben al di sotto delle aspettative di un autore affermato. Alcuni commentatori americani considerano un miracolo che The Armageddon Rag sia ancora ristampato! La ragione, molto semplice, sta nel forte traino dato dalle Cronache del ghiaccio e del fuoco, lo stesso che l'ha portato Italia grazie alla Gargoyle.
Previsione confermata:

‘Death is not always so formidable an obstacle as you might imagine.’

Però, dicevo, non è per tutti. La maggior parte dei pareri negativi sono motivati dalla scarsa presa dei due grandi temi: il lascito della rivoluzione e la musica rock. Il libro è in effetti pieno di citazioni e richiede un minimo di preparazione storica, per cui il rischio è paragonabile a quello di introdursi in un gruppo di amici che parlano una lingua sconosciuta. Tuttavia io credo che meriti uno sforzo, per due motivi. Il primo, più superficiale, è che si tratterebbe del "miglior romanzo sulla cultura della musica pop degli anni sessanta". Il secondo, con buona pace di mr. King, autore del virgolettato, è che questo è il romanzo che riesce meglio a grokkare quella parte degli anni sessanta.
Ditemi voi se è poco!

10 commenti:

  1. Sembra in effetti un romanzo molto vincolato a certe atmosfere e un certo momento storico ormai passato. Passando dal rigattiere ho trovato diversi numeri di "ROBOT" di fine anni settanta con racconti di Martin... Era già uno scrittore parecchio conosciuto,s ebbene non altrettanto grasso... la vita dello scrittore famoso evidentemente fa tendere alla pinguedine u__u

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    1. Martin ebbe una carriera folgorante, vincendo svariati premi per i suoi racconti - che consiglio moltissimo. Dopo questo romanzo, sparì dalla scena salvo poi imporsi nuovamente con A Game of Thrones. Non so a che punto della carriera abbia messo su peso, immagino durante il periodo a Hollywood.

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  2. All'inizio della sua carriera e poi dopo per molti anni Martin venne considerato un eterna promessa mancata della fantascienza, un grande autore come Harlan Ellison lo stimava al punto da voler antologizzare le storie di Martin, poi il silenzio...comunque già allora, al'epoca dei suoi racconti di fantascienza Martin era molto sadico con i suoi personaggi.

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  3. Di Martin avevo comprato "In Fondo il Buio" il suo romanzo d'esordio.
    Avevo iniziato a leggerlo, poi però l'ho abbandonato per non so più quale motivo per poi ritrovarlo oggi sotto una pila di fumetti, non mi era sembrato male per niente da quanto mi ricordo, una storia d'amore non banale e la tensione mantenuta sempre alta. Morale della favola, mo' me lo rileggo ;)

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    1. "In fondo il buio" mi era piaciuto molto. Forse ancora acerbo, ma mi ero innamorato di quel mondo morente e dei suoi ambienti.

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  4. Non lo conosco Martin, non ho mai letto nulla. c'è da dire che da storie come quella che hai illustrato salta sempre fuori qualcosa

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    1. Sono quelle storie in cui l'autore mette anche molto di sé, nel bene o nel male. In questo caso è riuscito, a mio parere.

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  5. Scoprii Martin su Robot a metà dei 70s. Ricordo un suo racconto, bellissimo, che mi fece pensare: "Questo tipo è destinato a diventare uno dei più grandi scrittori di SF di tutti i tempi". Però poi, dopo Robot, ho seguito altri percorsi di lettura e Martin l'ho perso completamente di vista insieme al resto della fantascienza. Ma a quanto capisco anche lui ha preso altre strade, più fantasy.

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    1. Sì, è poi ricomparso nella seconda metà degli anni '90 con una lunga saga fantasy di enorme successo, soprattutto ora che ne hanno fatto una serie TV. Oggi stanno recuperando tutte le pubblicazioni precedenti, tra Gargoyle e Mondadori.

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