domenica 20 aprile 2014

Un messaggio di pace e speranza dal 1921


Giusto ieri girovagavo per il Museo del Novecento, che, colpevolmente, non ero mai andato a vedere. Vero che molte opere le avevo già viste nella sede precedente, ma come scusante non poteva durare in eterno.

Vi risparmio i dettagli della collezione. Non vi risparmio però un piccolo dettaglio nascosto in una sala che, se ho ben capito, raccoglie materiale di non so quale archivio. All'interno di una teca sul fondo, a destra, c'è una copia (n.46 anno III) di questo giornale studentesco: La Fiamma Verde. Ciò che mi ha colpito è un trafiletto scritto da un anonimo liceale di Pavia.

Siamo nel 1921, tre anni dopo la conclusione della guerra più devastante mai combattuta fino ad allora. Lenin era ancora vivo, e con lui la rivoluzione. In Italia il socialismo era in crescita ma un piccolo gruppo guidato da un ex dirigente dello stesso partito stava forse già pianificando una marcia sulla capitale. Forse l'attesa era palpabile. La ricostruzione (in meglio) dopo la distruzione.
Cose di questo tipo.

Ed ecco il nostro anonimo studente che scrive della necessità dell'insegnamento di una nuova lingua. Perché nuova? Perché le lingue nazionali - sto parafrasando, ma il senso è questo - sono portatrici sane di cultura, di valori e idee. (Magari ne riparliamo). In un'epoca di nazionalismi, bastarono 37 giorni perché le più potenti nazioni del mondo entrassero in guerra; possibile che questo non si possa evitare, in futuro, tracciando ponti anziché nascondersi dietro le proprie trincee? Questo è un fatto importante e ampiamente riconosciuto, infatti l'Unione Europea impone l'insegnamento di almeno una seconda lingua comunitaria.

Non so se l'anonimo pavese avesse in mente l'Esperanto o un'altra lingua ausiliaria, poiché ne esistono parecchie anche se nessuna istituzione sovranazionale ne ha promosso l'adozione. Aveva in mente un concetto più ampio di comunicazione fra diverse culture, di apertura e viaggi da un paese all'altro, non più in forma di grand tour ma più come il programma Erasmus. Aveva in mente un futuro promettente e senza più guerre.

Cosa è successo invece lo sappiamo tutti.

Però, dopo la nuova guerra più devastante mai combattuta, finalmente sembra che qualcosa, almeno in Europa, sia cambiato. Gli stati che cedono parte della propria sovranità e quant'altro. Certo, c'è stata la contrapposizione dei blocchi e un lungo periodo di tensione, soprattutto nell'Europa centrale e orientale, ma una rivoluzione, come diceva Mao, non è un pranzo di gala.

Io credo che la mia generazione non si renda conto di quanto sia fortunata a essere nata nelle attuali condizioni. Non mi riferisco solo al tenore di vita, indubbiamente più alto, all'accesso all'istruzione e alle cure, a internet. Tutto ciò è reso possibile da quello che nel 1921 sarebbe sembrato un immane sacrificio per una nazione nata da poco, di cui si dice ancora che fu proprio la guerra a fare gli abitanti. Mi piacerebbe che si potesse invitare l'anonimo pavese in una classe moderna. Chissà se nel confronto con gli studenti di oggi egli riconoscerebbe le sue aspettative pienamente realizzate o rimarrebbe deluso del risultato.

Così, in un giorno in cui i cristiani banchettano celebrando la pace, la speranza e quant'altro, sentivo anch'io, da outsider, di dover condividere un pensiero di pace e speranza.
Per tutti gli altri, buona digestione.

Ĝis revido!

7 commenti:

  1. Non sono mai stata al museo del Novecento (cioè, credo di esserci stata una volta ma a vedere una mostra monografica orribile...). Sono quasi certa però che una cosa così non l'avrei notata. Ora sicuramente ci farò caso. Un bel messaggio, devo dire.

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    1. No, non l'avresti notata. Non l'avrei notata neanch'io se non mi avesse colpito il titolo, tanto che, lo ammetto, non ricordo a chi appartenessero gli oggetti dentro quella teca. È proprio una curiosità, oppure, se vogliamo, un messaggio in bottiglia.
      :)

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  2. Un messaggio davvero positivo :) Nemmeno io ho notato questo giornale, quando sono andata a visitare il museo (un po' più di una settimana fa).

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    1. Doveva proprio caderti l'occhio lì, non poco più a destra né a sinistra. ^^

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  3. Bello spunto e buon articolo, mi permetto una piccola precisazione: Non è esatto che nessuna istituzione sovranazionale promuove l'utilizzo dell'esperanto: Dal 1954 l'UNESCO ne promuove l'adozione, oltre ad aver eletto l'UEA come organizzazione consultiva della stessa.
    http://it.wikipedia.org/wiki/Esperanto_e_Organizzazione_delle_Nazioni_Unite

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    1. Grazie per la precisazione! Peso maggiore avrebbe una decisione da parte dell'UE, ma ci avviciniamo, temo, al campo della fantascienza.

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  4. È fantascienza in quanto l'opinione pubblica non ha alcuna formazione sul tema e di conseguenza le politiche linguistiche sono di scarsissima presa elettorale.
    Questo è davvero un peccato, io cerco diversi modi per portare un po' di attenzione su questo tema latente ma importante.
    Purtroppo a volte ci si limita ad atteggiamenti ironici al solo pensiero di ponderare un modello linguistico diverso dall'attuale.
    L'ironia di per sé non fa certo male, ma cercare un'opinione ragionata e non fideistica verso l'utilizzo dell'inglese e dell'esperanto sarebbe un ottimo punto di partenza. Mio malgrado riscontro che gran parte dei miei passati interlocutori non hanno avuto nessuna voglia di partire. Mi piacerebbe invece che le persone imparassero a formarsi un giudizio, positivo o negativo che sia, sulla necessità di rivedere la politica linguistica e di prendere coscienza di quanto essa influenzi le nostre vite.

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