venerdì 21 novembre 2014

Il patto. Quando è il lettore il problema

Mi è capitato più volte sulla annosa questione della credibilità di un racconto fantastico e di leggere interventi sul tema, a volte molto bene argomentati. Perché tornarci? Perché ho l'impressione che spesso il discorso sia incompleto, non per ingenuità ma per l'adozione di una prospettiva troppo rigida.


Facciamo un passo indietro.
Il fantastico è un tipo di narrazione che nasce con deficit di realismo maggiore rispetto ad altri generi letterari. Si richiede dunque più attenzione alla credibilità delle storie, ovvero che il lettore possa accettare gli elementi estranei alla realtà che conosciamo; si tratta del solito patto con il lettore, fin qui nulla di nuovo. L'atto di leggere intorno a questo tacito accordo, che rende reali le storie nello spazio tra le parole e il lettore.

Il patto prevede alcuni diritti e doveri. Dovere del lettore è sospendere l'incredulità. Diritto del lettore è la coerenza interna della storia, ovvero il rispetto delle nuove regole definite da parte dell'autore stesso. Gli articoli sono molti ed è importante che entrambi, autore e lettore, ne siano consapevoli. Non sono cose di poco conto: c'è sempre la possibilità che danneggino l'esperienza di lettura. C'è, ad esempio, la questione della premise. Se l'autore inizia a imbastire la trama attorno a un tema importante, che vuole portare all'attenzione di chi legge, potrebbe suscitare la ritrosia di certe persone per i libri con un messaggio. Una volta ho partecipato a un'assurda discussione con una aspirante scrittrice che contestava un manuale il cui capitolo introduttivo girava intorno alla premessa. Al contrario, io sono uno che si porta con sé libri con una forte sinergia fra la premessa e la storia, perché sono quelli che più mi restano dentro.

Quanto alla credibilità, talvolta si rischia di indulgere nel considerarla un fatto oggettivo. Vero che ci sono situazioni o fatti che chiunque con più di N anni e una cultura media definirebbe incredibili, ma ciò che è condiviso non necessariamente è oggettivo. Per esempio, restringendo il target alla fantascienza, vi è capitato che l'amico che aveva studiato materie scientifiche si mettesse a ridere dopo 10 minuti di film, nel momento dello spiegone? In quel decimo minuto la maggior parte del pubblico è disposta a credere a quella che può essere effettivamente un'assurdità. Non sempre la documentazione è sufficiente, perché le figuracce sono in agguato anche su ciò che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni.

Avete letto Frankenstein di Mary Shelley. Io no, ma la Leggivendola l'ha fatto e non è riuscita a crederci. Nella recensione che ho indicato, parla di strappi nella trama. Come fa il mostro a fuggire, nudo e probabilmente goffo, dal pieno centro di Ginevra? Dovrebbe essere più facile credere a una cosa come questa, piuttosto che alla resurrezione di carni rattoppate tramite scossa elettrica. Eppure c'è la possibilità che un lettore, accettando di buon cuore il grosso strappo alla realtà come la conosciamo, non riesca a digerire quelli più piccoli. La mia editor di fiducia li definisce spietatamente buchi logici.

Un altro capitolo si apre sui personaggi. Nella maggior parte delle opere contemporanee i personaggi superano per importanza nell'economia della storia la trama: così dicono i manuali e di loro scrivono i blogger, non si scappa!

I personaggi complicano molto le cose. Sempre la Leggivendola dichiarava di non sopportare l'over acting - o forse erano le persone che parlano da sole? Ciascuno ha le proprie idiosincrasie e quanto più il personaggio è distante da noi, tanto più è difficile immedesimarcisi. Questo è un problema non trascurabile in una narrativa che scava molto a fondo nei propri personaggi. In un commento su Facebook, un noto scrittore italiano scriveva (a memoria): "Non sei solo tu, recensore, a conoscermi attraverso i miei libri; sono anche io, autore, da ciò che scrivi a conoscere qualcosa su di te." Personalmente, me ne sono reso conto partecipando al gruppo di lettura, discutendo attorno ai trascorsi di Tom in Follie di Brooklyn di Paul Auster. L'aver vissuto una certa esperienza mi ha aiutato a comprendere ciò che Tom deve aver provato. Così non è stato per chi non riesce di suo a concepire un certo tipo di scelte.

In conclusione, non è semplice rendere credibile una storia. Non credo sia possibile darla a bere a tutti i potenziali lettori. Ci sono almeno tre possibili livelli di intervento:

  1. Sforzarsi di rispettare le regole, sia quelle dell'altro mondo (coerenza) sia quelle del nostro.
  2. Assicurarsi, anche con una documentazione adeguata, di essere competenti fino al grado di dettaglio desiderato e consapevoli del pubblico di riferimento.
  3. Curare la caratterizzazione dei personaggi.
Sul terzo punto è più difficile intervenire, perché controverso. Non c'è una soluzione facile. Entro certi limiti può bastare applicare la stessa coerenza di cui si è parlato, ma i personaggi si evolvono e sono per natura sfuggenti agli schemi rigidi. Non è possibile imprigionarli, soprattutto se la storia è character-driven.

Il consiglio che posso dare ai lettori - categoria in cui mi riconosco - è più immediato: cercate di avere una mente aperta! So che a questo punto sorgono un esercito di "ma". C'è storia e storia, lo so. Sto generalizzando. In fin dei conti, sta a voi decidere se lo scrittore è in buona fede e scegliere di sottoscrivere il patto.
You never really understand a person until you consider things from his point of view — until you climb into his skin and walk around in it.
Atticus Finch, To Kill a Mockinbird

33 commenti:

  1. mi piace la concezione di "diritti e doveri" derivanti dal patto con il lettore. io sono piuttosto sensibile all'argomento, sia da un lato che dall'altro (scrittore/lettore).

    in effetti credo che questa sia la ragione per cui buona parte dei film recenti (mi riferisco soprattuto al filone supereroistico) mi irrita parecchio. mi sembra che lì gli autori si prendano sempre troppe libertà nell'usufruire di questo accordo: va bene la premessa iniziale "straordinaria" che accetto come spettatore, ma poi non puoi far accadere qualunque cosa solo perché ti ho concesso questo margine.

    ma appunto è un settore diverso, forse lettore e spettatore hanno mediamente soglie di attenzione differenti.

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    1. Credo che nel secondo caso influisca molto il tempo: la storia si sviluppa in un paio d'ore e l'attenzione dello spettatore è obbligata a seguire gli eventi con una velocità predeterminata.

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  2. Ho sempre avuto l'impressione che vi siano alcuni elementi "irrazionali" che per forza della tradizione tolkieniana/ D&d vengano accettati benissimo, mentre altri più sensati vengono rigettati. Ad esempio conosco molti che non riescono a digerire il fantasy di Terry Pratchett perchè lo sentono "ridicolo" mentre non battono ciglio di fronte a elfi magrolini con archi lunghi e nanerottoli con asce il doppio della loro altezza... :-D

    E' un po' la spaccatura tra anime e cartoni animati disneyani, dove i primi vengono rigettati perchè "hanno gli occhi troppo grandi" mentre un Topo parlante è considerato "serio".
    Immagino giochino inevitabilmente le diverse idiosincrasie personali...

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    1. Qualcuno faceva notare che l'ascia si addice poco a un popolo che vive nel sottosuolo, come i nani della tradizione da te citata.

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  3. Bella bella bella questa tua riflessione che condivido totalmente, trovandomi dalla parte del lettore: mente aperta e sottoscrivere il patto!
    Ovviamente, come hai già sottolineato, si parla a livello generale, non riferendosi a casi "estremi" di possibili scivoloni ed errori tali da rendere dubbia o nulla la coerenza interna ad un libro.

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  4. Sono fondamentalmente d'accordo. Non dico che il lettore non abbia diritto a usufruire di una coerenza interna nella storia e non debba criticare ciò che gli pare inesatto o incoerente. Però, non deve neppure dimenticare che uno dei fondamenti della narrativa è incantare, come quando da bimbi si ascoltavano le fiabe dei nonni.
    Io, per dire, ho trovato incoerente e pieno di buchi "Maleficient", tuttavia ho notato che molti spettatori ne sono rimasti incantati per il messaggio di fondo e le atmosfere, che a me sembravano cliché. Forse il mio punto di vista è corretto, ma è anche un punto di vista freddo, distaccato. Insomma, il lettore-critico esasperato rischia di perdere di vista l'aspetto puramente intrattenitivo (si può dire?) della fiction.

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    1. ecco, Maleficient è proprio un esempio perfetto di quello che dicevo riguardo i film. non l'ho visto ma ho visto il video "everything wrong with" (https://www.youtube.com/watch?v=svaLPBwDLCY&list=UUYUQQgogVeQY8cMQamhHJcg) e c'è la dimostrazione di quello che intendo: mi va bene la strega e mi va bene il regno fatato e la maledizione eccetera, ma com'è possibile che questa strega una volta abbia il potere di sollevera e disperdere le persone, evocare draghi giganteschi, e la volta successiva sia incapace di volare lei stessa, o farsi ricrescere le ali? se la magia esiste (posso accettarlo), perché funziona in modo diverso a seconda delle necessità della trama?

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    2. Non so se avete mai visto la serie Stargate SG1. Da una certa stagione in avanti, la Terra acquisisce tecnologie sempre più potenti, rischiando di diventare una potenza interstellare. Poiché la serie girava intorno alla difesa del pianeta, hanno iniziato a introdurre difficoltà spesso incoerenti fra loro. Di punto in bianco il teletrasporto è diventato incompatibile con gli "scudi" come in Star Trek. In un'altra occasione l'installazione di super-armi è coincisa con la provvidenziale scomparsa di tutte le armi a proiettile, che magari avrebbero salvato la situazione. L'impressione era che si trattasse di modifiche consapevoli, per giustificare le giravolte della trama.

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  5. Il punto fondamentale è questo: coerenza delle regole interne all'interno del mondo immaginario che si è creato.
    Possiamo accettare molte cose, ma quando l'autore stesso non rispetta le regole che egli stesso ha creato allora lo spettatore se ne accorge.
    In un certo qual senso, a livello televisivo, questa è una cosa che capita spesso. Purtroppo quando invece capita nella letteratura non abbiamo nemmeno la copertura ed il mascheramento fornito dagli effetti speciali.

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    1. Giusto! Con un libro posso prendermi mezz'ora per un passaggio che non mi è chiaro, tempo che in TV corrisponde a più di mezzo episodio. Facevo più sopra l'esempio di SG1, in cui da un certo punto in avanti modificavano le regole per necessità di trama.

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  6. Mi piace questa tua riflessione e la condivido. Da qualche parte, parlando di un libro (non ricordo quale e dove ne avrei parlato, comunque), dicevo che solitamente sono molto aperta. In sostanza mi sta bene tutto, credo più o meno a qualunque mondo riportato dall'autore, a patto perché che sia coerente. Nello stesso mondo possono convivere angeli e vampiri, non h alcuna importanza, la vera cosa importante è che tu autore renda tutto ciò plausibile. Spesso, però, non è così. Un po' l'ho notato nei libri della Clare, che mette insieme angeli, demoni, maghi,vampiri e cacciatori ma lo fa in modo confuso, poco credibile e non coerente come in Supernatural. Certo, c'è da dire che io ormai ho sviluppato una sorta di odio per la Clare e la sua osannata (senza motivo alcuno) saga, per cui ci vedo sempre del marcio... Ma comunque, il tutto per dire che sono d'accordo con te.

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    1. Quanti più elementi metti nel calderone, tanto più è difficile da gestire. Conosco autori che ci riescono (Jasper Fforde, almeno finora, e Alan Moore) mentre altri probabilmente dovrebbero contenersi.

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  7. Hai ragione su tutto.
    Ho provato a leggere qualcosa di fantastico ma non ho avuto gli esiti sperati.
    Sono convinta al 100% che la colpa sia mia.
    In realtà non sono nemmeno arrivata al livello di individuare una serie di incoerenze nella trama, come La Leggivendola; hai citato giustamente anche Auster, che incarna per me il "falso" della letteratura (almeno per i tre suoi libri che ho letto finora).
    Mi è capitato anche con la letteratura non di genere in realtà.
    In Norwegian Wood (il più realistico di Murakami, si dice...) mi hanno urtato i numerosi suicidi, inspiegabili, ma anche scene erotiche fuori dal mondo (una ragazzina che "violenta" una donna vissuta, una ragazza che mostra le parti intime alla fotografia del padre morto...). Fuori dal mio mondo forse?
    Penso anche a Rosa Candida, dove il protagonista maschile mi sembra una donna e ogni suo pensiero acquisisce un non so che di falso.
    Penso a Emil Cioran, che ho dovuto mollare dopo poche decine di pagine per l'estrema esagerazione di sentimenti dolorosi e ansie esistenziali.
    L'Aleph di Borges sto cercando di capirlo, un po' alla volta: nonostante alcuni concetti sul tempo che mi colpiscono molto, voglio spiegarmi la necessità di ambientare dei racconti in scenari così distanti da noi, ma anche da lui, visto che scriveva nel 1949, non nel XIV secolo.
    Ma è davvero ciò che è percepito come falso a turbare?
    Non so.
    D'altro canto io adoro Pessoa, il fingitore per eccellenza, o Antonio Tabucchi i cui romanzi sono sogni sospesi in spazi e tempi di un'altra realtà.
    In Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron i personaggi apparivano molto stereotipati, roba da telefilm americano. Eppure mi è piaciuto.
    Ci deve essere qualcosa di più, che ha sicuramente a che fare con l'empatia, ma su cui cerco ancora di indagare.
    Penso che sia necessario, se non capire, almeno arrivare a scorgere un senso in quello che si legge: come se si potesse decostruire la narrazione e arrivare a intuire il percorso dell'autore, "giustificandolo".

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    1. Tutta la narrativa è falsa. Gli inglesi hanno un bellissimo termine, fiction, che rende meglio il concetto rispetto al nostro. Man mano che l'autore si prende delle "licenze" sulla realtà, il lettore se ne accorge e reagisce diversamente; tu hai una soglia più bassa della mia. C'è però anche l'effetto Murakami: una cultura diversa da quella europea, in cui tu non riesci a convincerti da scene e pensieri che sono fuori dal tuo mondo. Fra te e Murakami c'è una distanza culturale forse paragonabile a quella temporale con la Shelley. Io ho letto racconti di autori giapponesi e cinesi, sentendo moltissimo il divario culturale rispetto alla tradizione europea - nord americana, trovandoli più difficile da assimilare, nel contenuto prima ancora che nella forma. Come dici tu, è importante trovare un appiglio.

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    2. Io alla fine a Borges ho rinunciato.
      Mi dichiaro colpevole e sconfitta.

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  8. Articolo molto interessante, sia che lo si legga dalla parte del lettore, sia che lo si affronti nell'ottica dello scrittore. Parlando di romanzi fantastici, come ho avuto modo di dire diverse volte, il rischio dell'accozzaglia e del tutto-possibile è dietro l'angolo e il bravo scrittore dovrebbe appellarsi alla coerenza da te evidenziata: verissimo che il lettore deve essere aperto, ma a tutto c'è un limite e la presenza di un patto fra le due figure che si passano la storia (autore e lettore), come ogni accordo, prevede che esistano dei limiti per evitare lo strapotere dell'uno o dell'altro.
    Quanto a buchi nella trama (cui aggiungerei anche i refusi), diventano talvolta imperdonabili e a tal proposito mi viene in mente un confronto libro-film, quindi sposto l'attenzione un po'all'esterno del filo della tua riflessione: la versione cinematografica di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban fu per me una vera delusione, era piena di falle narrative e credo che, se non avessi letto il libro, avrei avuto serie difficoltà ad accettarle; magari per chi fruiva la storia per la prima volta dal grande schermo il film era godibilissimo, ma per me stonava troppo l'assenza di informazioni precise.
    D'altro canto, però, riconosco di essere una lettrice molto esigente, motivo per cui non amo i finali aperti (a meno che non siano molto, ma molto carichi di significato) e la letteratura unicamente finalizzata al non-sense, al gioco di parole, allo stravolgimento della tradizione narrativa come scopo e non come mezzo.
    Credo, insomma, che entro certi limiti ci si debba appellare al patto reciproco autore-lettore, ma anche che determinate situazioni (che vanno dall'stremo dell'inadeguateza dello scrittore all'altro dell'indisponibilità del lettore ad accettare le sue tecniche e le sue scelte) presuppongano la necessità di rifiutare a priori quel patto per evitare uno scontro che può portare alla chiusura totale dello scambio.

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    1. Credo anch'io che sia importante rifiutare a priori un patto che per il lettore è indigeribile. Ci vogliono informazione (una presentazione non fuorviante), consapevolezza (esperienza di lettura) e... fortuna, perché di sorprese ce ne sono sempre! :)

      PS: I refusi non sono imputabili all'autore, a meno che non sia egli stesso editore, come nel caso degli autoprodotti. Anche i buchi logici, in senso stretto, dovrebbero riempirsi con un buon editing, a meno che non siano strutturali o causati dal deliberato ma ingenuo impiego di cliché, come purtroppo avviene.

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  9. Io come lettore non cerco il pelo nell'uovo ma spesso mi accorgo di errori e incoerenze, cose poco credibili ecc... Bisogna però mettere questi problemi nel giusto contesto, ovvero non esagerare nel condannarli, visto che mi rendo anche conto, come scrittore, che non esiste libro senza difetti.

    Un esempio che potrei portare è quello del Signore degli Anelli, dove si potrebbe ipotizzare un semplice volo a cavallo delle aquile per buttare l'anello nella voragine del Monte Fato e farla finita in quattro e quattr'otto.
    Sì, questa soluzione ha tutta l'aria che sarebbe possibile e Tolkien, che evidentemente non ci ha pensato, non dà un motivo per cui non si può fare, infatti nessun personaggio ipotizza di farlo. Ma questo "buco" è sufficiente a dire che il SdA è un pessimo libro?

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    1. Mi sembra un esempio appropriato, ma Tolkien, se ci avesse pensato, avrebbe sempre potuto giustificarne il mancato utilizzo con il fatto che a Manwe sarebbero girati i cosiddetti per un uso improprio dei suoi araldi.

      Piuttosto, mi hai ricordato che in una possibile sceneggiatura per ISdA - ne parlava forse Christopher, se non il padre - era previsto l'uso massiccio di aquile per velocizzare i "trasporti" e ficcare tutto in due o tre ore di film. In questo caso, davvero, perché non andare direttamente a Monte Fato? Ecco, qui sì che la storia ne avrebbe risentito parecchio.

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  10. Ciao!

    Sono io u.u dopo 10 minuti in sala quella che fa casino sono io, scusate (più per storici che fantascienza, in fondo è 'fanta' scienza, a meno che proprio non prendano in pieno un buco nero di trama...).
    Credo che Frankestein sia un esempio perfetto, quello che giustamente alla Leggivendola non piace del libro penso sia frutto ormai del fatto che tra Mary Shelley e noi corrono duecento anni; gli schemi comportamentali e narrativi dell'epoca sono decisamente diversi dai nostri, e per me resta un perfetto esempio di quello che succede alla fantascienza quando invecchia male: è vero che è chiaramente un racconto horror, ma la creatura viene rianimata con la scienza, un uso davvero superficiale e teorico di una tecnologia che allora non era davvero compresa e che a noi fa sorridere tanto quando qualcosa in Star Trek farà ridere la gente nel 2214. Tutti i vari problemi (come per esempio la fuga della creatura) sono collegati all'idea che viene data per scontata che possa avvenire, perchè a Mary serviva succedesse e probabilmente ai lettori non importava come, penso sia collegato al fatto che lei parlasse ai suoi contemporanei: il lettore contemporaneo di Mary Shelley capirà perché una creatura tipo Hulk possa scappare senza che nessuno se ne accorga, noi non più. Frenkestein funziona solo all'interno della propria bolla ottocentesca.
    I personaggi credo siano la cosa più personale che un autore possa mettere in campo, per cui credo che sia soggettivo dire cosa è credibile e cosa no; per me leggendo "Le cronache del ghiaccio e del fuoco" era molto più credibile i rapporti familiari tra i Lannister, incesto compreso - soprattutto quello- piuttosto che quando Catlyn Tully dice a Robb "sì tranquillo, anche se hai fatto sfanculato Walder Frey dentro al suo castello saremo al sicuro mediante questa cerimonia inutile", perché si passa da 3 libri di medioevo inglese durissimo e materico con aneddoti raccapriccianti a questa cosa alla Poema cavalleresco che stona molto, ma che serviva ad arrivare all'esito delle nozze rosse.
    Di base credo che basti mantenere la coerenza coi propri paletti che ci si impone come autore; se io decido che la mia storia si basa su alcuni elementi non posso permettere che questi vengano infranti nei primi dieci minuti (o infrangerli senza un motivo valido). Per questo ti saltano all'occhio subito. Io accetto astronavi stellari e draghi perché sono belli da leggere e vedere (quando non volano male come Maleficent), ma se mi setti la storia su una condizione che va in frantumi facilmente è come togliere la pietra di volta ad un arco di pietra.

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    1. Un mio compagno di studi non riusciva già nel 2006 a guardare Star Trek (serie classica), a causa degli effetti ridicoli. Allo stesso modo, certi film oggi ha senso guardarli al cinema per godere di effetti, suoni, etc., perché la sceneggiatura di per sé è accettabile o anche piena di orrori. Per esempio i nuovi film di Star Trek. ^^

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  11. Ma forse un libro o un film ci piacciono per un motivo che prescinde dai "buchi"... E' quel nonsoche che ti fa pensare "ma perche' le aquile non portano Frodo, l'anello e tutti gli altri direttamente nel vulcano?" ma che ti fa anche dire "Va be..." se ti piace il libro. Parlo anche per i film, ovviamente... Io, quando sono presa da un film, alcuni buchi non li vedo nemmeno...

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  12. La credibiltà o meno di una vicenda o di un'ambientazione credo sia una funzione della trama. Una buona trama deve muoversi all'interno dello schema preannunciato, senza inserire elementi di sostegno che, logicamente, non erano dati o era impossibili nella situazione presentata. Ma facendo le dovute eccezioni. Se inserisco un personaggio capace di volare in un testo "realista" posso provocare il disgusto del lettore o la sua reverente meraviglia se mi chiamo, putacaso, Zamjatin o Bulgakov e il mio racconto riesce a narrare la resistenza di un uomo normale a un'assurda burocrazia. In realtà le regole esistono per essere elegantemente aggirate o illuse, lasciando il lettore felicemente imbrogliato. E le regole tra il fantastico e il realistico sono molto meno rigide di come appaiono e probabilmente di come devono essere percepite. In fondo anche il signor Rossi di Via Garibaldi esiste solo da un punto di vista statistico, così come i presunti fantasmi, i licantropi e gli alieni... crederci è una dichiarazione di credulità affidata alle capacità dello scrittore. Un libro può apparire mediocre se non riesce a vincere l'incredulità di chi legge, sempreché chi legge non si ritenga un fenomeno di scafata furbizia e voglia ben apparire in mezzo al povero volgo... ecco di questo genere di furbizia la narriva ha bisogno come di un terzo guanto. E anche la Divina Commedia farebbe una triste figura tra i geometri dell'immaginario.

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    1. Ecco, con Bulgakov mi hai fatto vacillare. Lui è uno che le regole le rompe eccome! Però è anche un romanzo che o piace molto o viene abbandonato, va detto.

      Riguardo la distinzione tra il sig. Rossi e il sig. Woland, sono d'accordo. Ho scelto il fantastico perché è più evidente lo sforzo del lettore nell'accettare regole estranee alla sua visione del mondo (che può essere molto limitata). Il sig. Rossi è frutto dell'immaginazione di qualcuno, certo, ma è statisticamente più facile che rientri nel campo di accettazione automatica del lettore.
      Ammesso che non sia il furbacchione di cui parli.

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  13. Questo post è davvero bellissimo e interessante!

    In ogni storia ci sono cose che non sarebbero possibili nella realtà, il fatto è che devono essere coerenti nell'impianto narrativo in cui sono inserite. Posso tranquillamente credere a elefanti viola a pois gialli che sputano fuoco, se sono sensati nella trama, e invece dubitare di un essere umano qualunque che fa qualcosa di inutilmente surreale in una scena.

    I buchi logici tendono a emergere quando si analizza una trauma al punto da mettere in crisi il rapporto di naturale fiducia che in genere concediamo all'autore. Di solito questo lo fa un editor. Se un lettore "comune" inizia a farlo, evidentemente il testo ha ben più di qualche "buchetto logico" e la fiducia nei confronti dello scrittore è venuta meno.

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    1. Grazie.
      Sono tutte osservazioni e critiche che dovrebbero emergere nelle fasi di lettura precedenti alla pubblicazione.

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  14. Questo post ho voluto lasciarmelo macerare un po' in testa, in modo da non commentare con eccessive boiate.
    Della credibilità si era discusso anche all'educational con Tarenzi. In pratica sosteneva che è più facile accorgersi delle minuzie in un fantastico piuttosto che in un romanzo 'realistico', perché la sospensione dell'incredulità è già tesa nell'accettazione dell'universo alternativo e delle sue leggi bizzarre. Plausibile.
    Credo che uno degli esempi dello spezzarsi dell'incredulità sia nel terzo film de Il signore degli Anelli, quando arrivano le aquile e si rivelano degli assoluti power-player cui è strano che non ci sia rivolti prima. Si crede alla Terra di Mezzo, agli elfi, alla creazione degli orchi, agli alberi che camminano, ma poi arrivano le aquile e un sacco di gente ne è infastidita perché 'ma Frodo non poteva salire su un aquila con Galdalf, invece che fare tutto sto casino?'. C'è chi ha dato risposte plausibili alla domanda, non è che voglio discutere della scelta di percorso di Gandalf, ma del fatto che un sacco di gente l'ha trovata inverosimile, nonostante si fosse aperta al mondo raccontato da Tolkien.
    Invero credo che la sospensione dell'incredulità sia una anche soggettiva. Non avendo competenze scientifiche o tecnologiche, posso credere a qualunque boiata mi sia presentata in questi termini, quando lo stesso non vale per uno che magari ha studiato biologia. Allo stesso modo, se leggo un libro ambientato nel Giappone dei secoli scorsi, mi crolla tutto quando trovo delle imprecisioni. La sospensione dell'incredulità è determinata dalle proprie competenze.
    E certo, si interrompe se lo scrittore va contro le stesse leggi che ha creato, da lì non si scappa. Per riprendere quello che dicevo di Frankenstein, posso credere al galvanismo, ma non posso credere a un gigante deforme che corre per la città senza essere visto, perché conosco le città. Certo, è pignoleria, ma la sospensione dell'incredulità non è una cosa che si concede a piacimento. O c'è, o non c'è.

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    1. Dato che Leggy ha detto tante cose intelligenti le boiate le sparo io.
      Sono d'accordo con quello che hai scritto, ma mi domando: è veramente l'incredulità che frena il lettore? Mi prendo come esempio: a me non piace il fantasy non perché trovi difficoltà nel pensare oltre il possibile (il lettore ha, di base, sempre un pizzico di immaginazione in più) ma perché non mi riconosco nel genere. Questo, fino a poco tempo fa, credevo fosse un mio limite ma poi mi sono chiesta (mi faccio un bel po' di domande a quanto pare): perché fare questo "sforzo"? Nel senso: avere una mente aperta dovrebbe essere l'undicesimo comandamento; le persone ottuse, che siano lettori o che non lo siano, non vanno da nessuna parte, però... la lettura è un piacere, un crogiolarsi in un universo parallelo, no? E allora che ognuno scelga il suo, senza pregiudizi ma senza troppe complicazioni.

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    2. @Leggy: Vero, tu conosci le città. Ma nelle nostre città succedono cose, brutte e buone, che purtroppo sono più o meno volutamente ignorate. Conosci la città quasi solo come tu la vedi, nel tempo in cui vivi eccetera. Il senso comune è... comune, appunto. ^^

      @Maria: Ovviamente parto dal presupposto che uno voglia compiere lo sforzo. Come a te non piace il fantasy a tizio non piace il giallo, al terzo non piace vattelapesca e io non vado pazzo per la narrativa lasciata senza etichetta che chiameremo mainstream. Come diceva Massimo, anche il signor Rossi ha pura valenza statistica - tradotto, significa che qualcosa di immaginario c'è in tutto lo spettro della letteratura. Nel fantastico propriamente detto lo sforzo è più evidente proprio perché, come riporta Leggy citando Tarenzi, e sono d'accordo, il lettore è teso ad accettare discrepanze ben più grosse con la realtà percepita.
      Non volevo comunque affermare che l'apertura mentale va applicata in assoluto: ci vuole elasticità in questo genere di cose. La misura del tuo sforzo dipende da troppe cose perché si possa parlare di un comandamento. Qui giocano anche i famosi diritti, come quello di riporre il libro e non andare più avanti.

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  15. Sono capitata su questo blog dalla pagina di Romina Tamerici. Il fatto più curioso è che proprio lunedì io stessa ho dedicato un post all'apertura mentale e, in particolare, alla capacità dell'autore di uscire dalla "zona di comfort".

    Per quel che riguarda la premessa, io penso che l'autore non debba dannarsi a cercarla perché normalmente emerge da sola in sede di stesura. A me ad esempio è successo, ed ha quasi cambiato la trama!

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    1. Pensa, anch'io ho scoperto il tuo sbirciando nei suggerimenti di Romina.

      Sono d'accordo con te. Tempo fa avevo letto (e, non credendoci, l'ho provato) che partire da una premessa è molto più difficile, nonostante sembri in apparenza più facile, che lasciarla emergere da sola. Diversamente da altri aggiustamenti fra le stesure, è proprio qualcosa che può spostare il baricentro della storia.

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    2. Io avevo stabilito una premessa, per il romanzo che sto scrivendo. Poi però ho avuto un'illuminazione strada facendo e ora (proprio in questo momento) mi sto accingendo a riscrivere la scaletta... quindi non posso che darti ragione! ;)

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