venerdì 17 febbraio 2012

Una storia di fantasmi

Eccoci infine giunti all'ultimo dei racconti da me tradotti tratti da "Tales of Wonder" di Lord Dunsany. Onestamente, quando ho pianificato i miei sforzi credevo che sarebbe stato più facile! Tradurre a mente durante la lettura è molto diverso dal trasmutare dalla lingua in cui è nato a un'altra. Tradurre è dannatamente difficile e credo che d'ora in avanti proverò un timore reverenziale per chi lo fa di mestiere.


Ricordo brevemente i due racconti già proposti: in "A Tale of London" abbiamo visitato la capitale del mondo industrializzato con gli occhi dell'immaginazione e un pizzico di salace, ma sana, ironia; in "Why the Milkman Shudders When He Perceives the Dawn" siamo resi partecipi di un gioco condotto magistralmente del buon barone, grazie alla sua mirabile capacità di creare atmosfera.
Vediamo adesso un assaggio delle tonalità più cupe e minacciose che si incontrano lungo i sentieri della fantasia. Non sarà un racconto particolarmente terrificante, ma verso la fine mi ha trasmesso un brivido, per il presagio di una sventura che incombe. In attesa del momento opportuno.

La torre di guardia
"The Watch-tower", tratto da "Tales of Wonder" di Lord Dunsany

Un giorno di Aprile mi sedetti su una piccola collina della Provenza, sopra una antica città che già i Goti e i Vandali avevano lasciato com'era(*).
Sulla collina c'era un castello vecchio e rovinato con una torre di guardia, e un pozzo a gradini stretti, con ancora un po' d'acqua all'interno.
La torre guardava a sud con delle trasandate finestre, fronteggiando un'ampia vallata che era stata riempita dal piacevole tramonto e dal brusio serale: vedeva i fuochi dei viandanti lampeggiare sulle colline, al di là dei quali la lunga foresta di pini neri, la comparsa di una stella e l'oscurità che calava dolcemente su Var.
Quando uno siede lì ascoltando i gracidii delle verdi rane e udendo voci lontane, distinte ma trasmutate dalla sera, guardando le finestre del paesello luccicare una dopo l'altra, e guardando l'imbrunire tramutarsi solennemente in notte, la mente percepisce alcuni avvenimenti che di giorno apparirebbero importanti come strane fantasticherie serali.
Alcuni venti erano sorti bisbigliando da ogni direzione e si era fatto freddo. Ero lì lì per scendere dalla collina, quando udii una voce dietro di me, che diceva: "State in guardia, state in guardia."
La voce sembrò così simile ai rumori serali che in un primo momento non mi voltai; fu come le voci che uno sente durante il sonno e pensa che facciano parte del sogno. E quelle parole, in Francese, erano ripetute e monotone.
Quando poi mi girai vidi un vecchio uomo con un corno. Aveva una barba bianca straordinariamente lunga, e continuava a ripetere, lentamente, "State in guardia, state in guardia". Egli chiaramente era appena sceso dalla torre, benché non avessi udito nessun rumore di passi. Se un uomo mi si fosse avvicinato di nascosto a quell'ora e in un luogo così solitario, mi sarei certamente sorpreso; ma mi accorsi subito che egli era uno spirito, e sembrava, con il suo rozzo corno, la sua lunga barba bianca e quel suo passo silenzioso, provenire da un lontano passato, tanto che mi rivolsi a lui come un viaggiatore che ti chiede se ti infastidisce il finestrino abbassato.
Gli chiesi dunque da che cosa dovessi stare in guardia.
"Da cosa dovrebbe guardarsi una contrada," disse, "se non dai Saraceni?"
"Dai Saraceni?" chiesi.
"Sì, Saraceni, Saraceni," rispose e brandì il suo corno.
"E chi sei tu?" domandai.
"Io, io sono lo spirito della torre," disse.
Quando gli chiesi come mai il suo aspetto era così simile a un uomo anziché alla torre che si trovava materialmente vicino a noi, spiegò che le vite dei guardiani che avevano impugnato il corno in quella torre erano confluite nello spirito della torre. "Ha richiesto un centinaio di vite," disse. "Nessuno regge il corno negli ultimi tempi e gli uomini trascurano la torre. Quando le torri sono in cattivo stato di riparazione i Saraceni giungono: è sempre stato così."
"I Saraceni non vengono oggigiorno," obiettai.
Ma egli stava guardando oltre, e non sembrò darmi retta.
"Essi scenderanno da quelle colline," continuò, indicando lontano verso Sud, "fuori da quei boschi, al tramonto, e io suonerò il corno. La gente accorrerà ancora una volta dal paese alla torre; ma le feritoie sono davvero in pessimo stato."
"Ma adesso non si sente più parlare dei Saraceni," insistetti.
"Sentir parlare dei Saraceni!" sbottò il vecchio spirito. "Sentir parlare dei Saraceni! Essi scivolano fuori da quella foresta di sera, indossando lunghe vesti bianche, e  io suono il mio corno. Quella è la prima volta che qualcuno ha notizia dei Saraceni."
"Intendo dire," spiegai, "che non arrivano più. Essi non possono giungere qui e gli uomini temono altre cose." Pensavo che l'antico spirito potesse trovare riposo sapendo che i Saraceni non possono più tornare. Ma egli disse, "Non c'è nulla al mondo che si debba temere, oltre ai Saraceni. Nient'altro importa. Come possono gli uomini temere altre cose?"
Io cercai di spiegarglielo, affinché egli potesse finalmente riposare, raccontandogli di come tutta l'Europa, in particolare la Francia, avesse terribili  macchine di guerra sia per terra sia per mare; e di come i Saraceni non avessero queste terribili macchine né per terra né per mare, e per questa ragione non potessero in alcun modo attraversare il Mediterraneo o sfuggire alla distruzione sulla costa, se anche riuscissero a sbarcare. Poi accennai alle rotaie Europee che possono muovere le armate di giorno e di notte, più velocemente di quanto possano galoppare i cavalli. Quando ebbi spiegato queste cose al mio meglio, egli rispose, "Col tempo tutte queste cose svaniranno e ancora una volta compariranno i Saraceni."
Al che io aggiunsi, "Non si è visto un Saraceno né in Francia né in Spagna per oltre quattrocento anni."
Ed egli disse, "I Saraceni! Tu non conosci la loro scaltrezza. Quella è sempre stata la strategia dei Saraceni. Essi non giungono per un po', per un lungo periodo, e poi un giorno arrivano."
Infine, scrutando verso meridione, pur non vedendo chiaramente a causa della nebbia, egli mosse silenziosamente verso la torre e salì sui gradini diroccati.

(*) Letteralmente: «una città che già i Goti e i Vandali si erano astenuti dall'aggiornare.»
Su consiglio dei lettori, come potete leggere nei commenti, mi sono deciso a modificare il testo. Purtroppo la locuzione bring up to date, che significa "aggiornare", ha un significato molto diverso nel 2012 rispetto al 1916, senza contare che "aggiornare" una città suona male a prescindere. L'espressione. comunque, nel testo originale è tra virgolette, non escludo dunque che il suo utilizzo fosse già in origine un po' forzato.
Grazie a tutti per i contributi!

13 commenti:

  1. Bello davvero! Certo la traduzione non deve essere stata semplice. Ti confesso che non sapevo se leggerlo o no, perché mi spaventano le storie dell'orrore, ma direi che questa era molto sottile e per niente macabra e sono conteta di averla letta!

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    1. Per qualche ragione questo commento (e altri due) è finito nello spam. Perdonerai mai un mese e mezzo di ritardo nella risposta? Sono contento ti sia piaciuto: LD non cade mai nell'orrore, si ferma subito prima. Devo però ammettere che ho trovato il finale di questo racconto piuttosto inquietante!

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  2. Complimenti a te per il lavoro. tradurre non è facile per niente come hai detto tu, in più bisogna ricordare che l'inglese del periodo in cui scriveva Dunsany è anche profondamente cambiato.

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    1. L'hai detto! In realtà di parole poco usate ce ne sono molto poche, più che altro la costruzione delle frasi è diversa e un po' pesante per gli anni 2000. Un'altra cosa che mi ha dato del filo da torcere sono i riferimenti storici, ma qui per fortuna che ne sono pochissimi.
      Per esempio, la località di Var in Provenza esiste e mi sarebbe piaciuto dare un'occhiata!

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  3. Direi "ammodernare"...
    Aggiornare è troppo "del nostro mondo", mi fa pensare ai software.
    Comprendo bene lo sforzo della traduzione, è molto difficile anche perchè in casi come questi si deve essere un po' scrittori.
    Non conoscevo Lord Dunsany, adesso mi documenterò.

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    1. Infatti, il concetto di update oramai è legato al software (mi sta capitando giusto ora). "Ammodernare" l'avevo preso in considerazione ma non ricordo perché l'ho scartato... Il punto è che lo scrittore è lui, non io. Prendendomi qualche licenza avrei potuto scrivere: "una città che persino i Goti e i Vandali avevano lasciato com'era". O qualcosa di simile. Solo che non essendo né un traduttore né uno scrittore affermato, mi sento un po' a disagio a modificare il testo più di quel tanto. ^^

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  4. Non si tratta di modificare il testo, ma di renderlo in italiano al meglio. E l'hai fatto egregiamente!
    Non sapevo facessi anche opera di traduzione!

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    1. Non l'avevo mai fatto, così mi sono messo un po' alla prova. E nel tradurre un racconto, al di là di leggerlo in originale, si entra un po' meglio nelle questioni di stile e di tecnica narrativa che, per un lettore un po' superficiale come me, sono sempre una bella scoperta!

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  5. Hai ragionissima! Tradurre è un modo divertente di ri-scrivere una storia e imparare moltissimo delle tecniche narrative, anche se qualche volta sono un po' vecchiotte.

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  6. Sei un bravissimo traduttore!
    Adesso che hai modificato quell'aggiornare ancora di più!

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  7. È vero, tradurre non è esercizio facile. Più facile, forse, per chi ha dimestichezza con la lingua, è scrivere in quella lingua direttamente.
    Io ho scritto dei racconti in inglese con uno sforzo minimo e con grande divertimento, ma quando mi sono gettata nell'impresa di tradurre il mio romanzo, ho incontrato ogni sorta di difficoltà...e il testo da tradurre lo avevo scritto io! Ho sottovalutato la portata dell'impresa e mi sono dovuta arrendere.

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    1. Mi riconosco nella tua esperienza. Se devo scrivere in inglese, è meglio pensare la frase direttamente in inglese! Tradurla è terribile, l'ho sperimentato (due volte) con l'abstract della tesi!

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