La discussione sarà il 27 sul tardo pomeriggio nella ridente Bicocca. Se qualcuno vuole fare un salto, credo che se ne pentirà!
Sul fronte accademico, quello meno tagliente, devo confessare che gli ultimi tempi sono stati piuttosto dolorosi. Gli ultimi due esami, la tesi e il resto sono stati una personalissima via crucis, ma come leggo sull'orribile statua che incontro, ritornando a casa, ogni giorno: "ogni uomo porta su di sé la sua croce".
È un caso che abbia citato proprio la croce, simbolo del cristianesimo, perché è di una croce che mi accorgo di voler parlare. E del pianeta Marte.
Da piccolo volevo tanto fare l'astronauta. Putroppo, però, sono nato nell'epoca in cui l'esplorazione spaziale è una spesa inutile da tagliare, così non mi resta che affondare nei libri di fantascienza. Il cinema, invece, oltre a casi eccellenti come il già citato Moon, non mi sa dare le emozioni di quei bei filmoni degli anni '80 (e '90).
Così, dopo il deludente John Carter in 3D e i virtuosismi della premiata coppia Clarke & Baxter, si ritorna a un racconto del '53, che mi è tornato in mente proprio mentre scrivevo queste due righe sconclusionate.
Crucifixus etiam
Partiamo dalle premesse. Dell'autore, un certo W. jr. Miller, potrei aver letto in tutto 3 o 4 racconti, a seconda di quanto fosse popolare nelle antologie di SF. Per quanto riguarda il racconto in questione, devo ringraziare il signor Asimov e la sua mania di curare raccolte di alto livello.
Spiego meglio.
Per rendere Marte abitabile, come dicevo, serve aria. Ci sono infatti delle grosse "miniere" di aria (credo depositi sotterranei di ghiaccio, ma vado un po' a memoria), dove lavorano centinaia di uomini vigorosi, che hanno accettato dei contratti milionari per lavorare due o tre anni fra le sabbie del Pianeta Rosso. La fregatura è che i sistemi di supporto vitale sono ridotti al minimo e costoro vanno in giro con una sorta di tubo impiantato nei polmoni, che consente di respirare agevolmente. La fregatura è che in meno di un anno i polmoni ti si atrofizzano e quando torni sulla Terra devi trascinarti dietro una bombola di ossigeno, ritrovandoti magari in breve tempo su un lettino di ospedale.
In questo contesto, agghiacciante, nasce il dissenso. Da una parte ci sono i "capi", gli ingegneri e i capi squadra, che dormono all'interno di tende munite di moderni sistemi di aerazione; dall'altra gli operai, poveri cristi, che sono semplicemente troppi per le capacità della Terra di dotare tutti quanti di ambienti abitabili. La manovalanza sembra condannata a sacrificarsi per il bene dell'Umanità, senza che ne traggano beneficio. Ma gli operai si sono arruolati per soldi, soldi che vorrebbero spendere, viaggiando e dilapidando da un continente all'altro. Restare per sempre su quel pianeta gelido e spoglio non è un'opzione allettante.
La Valles Marineris, con i suoi 4000 km di lunghezza! |
Questa azione non è così stonata come potrebbe sembrare. Sul piano narrativo, è il modo di Miller di inserire una morale di fondo, o se preferite un messaggio. Dal punto di vista della trama, invece, si tratta di un caso molto interessante. Il nuovo arrivato accetta il sacrificio. Sopporta una vera via crucis, affrontando i disagi e l'infezione causati dal tubo, scontrandosi con gli altri operai, testimoniando la disparità di trattamento rispetto alle autorità civili. Conosce anche uno di quei poveracci tornati a Terra dopo tre anni, che non ha saputo adattarsi e ha deciso di ritornare su Marte, lasciando i soldi alla famiglia. È forse questo incontro che lo convince a prendere una decisione contro il senso comune. Egli sognava la ricchezza facile e in breve tempo, ma si rende conto che essa non è che una chimera, mentre il vero scopo della sua vita è di creare un mondo che altri esseri umani possano abitare, alleggerendo il fardello della vecchia Terra.
Appendice al crocefisso
Non so se è una morale così condivisibile. Fa molto a pugni con la situazione dei lavoratori in mezzo mondo. Gente che muore nelle miniere perché io possa giocare con le ultime app di Android. Non è una bella vita, né un bel mondo. Ciascuno di noi, nati in paesi con un elevato tenore di vita, vive sulle spalle di uomini e donne che non hanno un decimo di ciò che noi abbiamo. Questo racconto, scritto in una diversa epoca, e probabilmente con una diversa mentalità, ha acquistato un pizzico di universalità.
Fino a che punto è accettabile che qualcuno si sacrifichi per la realizzazione del sogno di un altro?
Fino a che punto è accettabile che viva, ami, soffra e muoia all'ombra di qualcun altro, senza mai vedere la luce?
Non è molto accettabile, non è più accettabile anche perchè la maggior parte di quei poveri cristi a differenza del protagonista del racconto non hanno scelto di lavorare in miniera ma ci sono costretti per non morire di fame.
RispondiEliminaScrivendo questo post,hai deciso di onorare quelle persone, quindi la tua consapevolezza è il primo passo.
Capitolo Marte.
Anche io desideravo fare l'Astronauta, come credo, la maggior parte dei bambini negli anni '70, il fatto che abbaino deciso di ridurre e tagliare il budget per l'espolarazione Spaziale è stato, secondo me, uno dei maggiori errori che potessero compiere. Costa molto di più la rincorsa agli armamenti o certi tipi di ricerca cosmetica, ma quelli non saranno mai tagliati perchè ci sono troppi interessi "immediati".
Ciao, in bocca al lupo per la Tesi. ;)
Seguendo le tue considerazioni, direi che l'autore getta luce, con una capacità di discernimento molto acuta, su un un fenomeno scomodo che molti di noi non vogliono vedere, perché viviamo delle vite troppo confortevoli...e chi ci rinuncerebbe?
RispondiEliminaÈ inquietante come il racconto di un autore di un'altra epoca sia ancora così attuale nei suoi contenuti: da un lato vuol dire che non abbiamo imparato nulla, con il passare delle decadi (ma questo è normale; noi esseri umani tendiamo a non imparare dalla storia); dall'altro, che in fondo, forse un po' è vero che gli scrittori di fantascienza hanno il dono della preveggenza...
Le sensazioni che descrivi all'inizio del post le conosco bene, purtroppo...e un po' ti invidio, perché a me mancano ancora due anni e mezzo prima che possa anche solo pensare di mettermi a scrivere la tesi.
Tieni duro, lavora sodo e vedrai che alla fine ci verrà fuori una bella presentazione!
In bocca al lupo! ;-)
L'ingiustizia sociale è la base della nostra "giustizia". Il nostro tenore di vita, il nostro benessere è stato costruito dalle generazioni che ci hanno preceduto lavorando senza ricevere in cambio grandi meriti e viene continuamente costruito sulle spalle di chi non ha la possibilità di ribellarsi. La tua analisi è davvero interessante ed esce dai soliti banali dati triti e ritri che a forza di sentire non ascoltiamo più.
RispondiEliminaMi permetto di citare un breve passo de "Il garofano rosso" di Vittori, dove il figlio di un imprenditore che produce mattoni si fa domande sul destino degli operai (chiedendosi perché il padre che ha bisogno di operai faccia di tutto perché lui non lo diventi). Forse si esce un po' dall'argomento minatori ma...
"Ma perché" dissi io "c'è bisogno che gli altri sappiano tante cose e gli operai no?"
"Oh!" disse mia sorella "se sapessero tutto anche loro nessuno vorrebbe più fare l'operaio."
"Come? Non è bello fare l'operaio, allora?" dissi io.
Mia sorella lanciò lontano un sasso:
"E' questione che non sempre si sta bene a fare l'operaio" disse.
"Non bene come è necessario a uno istruito."
[...] "Dunque, li si obbliga a fare gli operai?"
Menta [nome della sorella] sorrise.
"Oh no!" disse. "Non li si obbliga. Solo non c'è modo che facciano diverso..."[...]
"Ma poi nella vita s'impone la necessità di salvarsi ognuno per conto suo." [disse il padre]
"Oh!" esclamai "allora tu ti salvi... per via di loro che si perdono?"
E questa è la domanda cruciale...
Perché cito Vittorini? Perché anch'io sono alle prese con il nuovo semestre appena iniziato. Sono in Bicocca martedì ma ho lezione tutto il pomeriggio, comunque sono sicura che farai un figurone!
Grazie a tutti per i commenti!
RispondiEliminaNaturalmente, uno scrittore spesso polarizza la discussione su un'aspetto molto specifico. Generalizzare non è mai facile. Tuttavia mi sono sorpreso a ripensare a questo piccolo racconto letto quasi dieci anni fa, che probabilmente un segno me l'ha lasciato!
...ed è una bellissima cosa. Quando un racconto con le sue vicende torna a galla dopo dieci anni, vuol dire che l'autore aveva un messaggio importante da trasmettere ai posteri e che il modo in cui lo ha trasmesso ha lasciato una traccia nella memoria, pronta per essere recuperata.
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