martedì 21 febbraio 2017

"Testamento di una maschera" di Stefano Tevini

Che mi piacciano i supereroi, non è esattamente un mistero. Qualche anno fa avevo persino partecipato a un paio di round robin supereroistiche, e l'idolo della mia giovinezza, che spesso mi piace ricordare, indossa il mantello*! Così, quando mi è capitato sott'occhio questo Testamento di una maschera, romanzo di supereroi italiani, immersi nella nostra storia e cultura, mi sono affrettato a leggerlo armato di una sana aspettativa.

Prima però di parlarvene, vorrei farei un passo indietro, dato che di supereroi ne avevo già parlato a lungo, recentemente, con il pretesto di recensire l'ottimo Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Senza troppi giri di parole, c'è la questione politica. In altre parole, se un supereroe è un uomo qualunque, oppure speciale, non importa, è cresciuto e vive in un preciso contesto sociale e culturale. Egli è parte della nostra storia e, a seconda della data di nascita, avrà avuto dei modelli positivi e negativi diversi. Avrà vissuto come ciascuno di noi, con le sue idee e simpatie (o antipatie) di fazione. Sarà stato di destra o di sinistra, apolitico, animalista, ambientalista, disinteressato o quant'altro vi venga in mente, tanto che forse il superpotere e la maschera non saranno stati per lui una distrazione sufficiente dalle problematiche della sua epoca. In altre parole, se il Dottor Manhattan di Watchmen accoglie la richiesta del presidente Nixon di scendere in campo durante la guerra del Vietnam, mi è sempre sembrato strano che il Superman di turno avesse sempre a che fare con super criminali e ben poco con i mali profondi della società in cui è cresciuto. Ma forse la mia impressione è condizionata da quello che viene trasposto oggi sul grande schermo.

Questa seconda premessa era necessaria per introdurre il romanzo di Tevini? Probabilmente no, ma come ho già anticipato le sue maschere non sono avulse dal nostro mondo ma, anzi, perfettamente inserite nella storia del nostro Paese.

Il testamento a cui si fa riferimento nel titolo è il primo filone del libro, in cui una vecchia maschera, che ha iniziato come giustiziere ed è finito per lavorare per l'Aegis, un'agenzia per il controllo dei suoi pari. Nelle sue confessioni, egli racconta tutti i retroscena di una storia parallela, in cui uomini e donne dotati di poteri o attrezzature straordinari hanno avuto parte in tutti i momenti significativi dell'ultimo secolo. Non in modo determinante, forse, perché gli avvenimenti principali sono gli stessi del nostro mondo, ma ci sono stati ed esistono. Per il loro controllo esiste una speciale forza di polizia, i reparti San Giorgio, e non è inusuali vederli all'opera, oggi, per combattere il crimine. Tuttavia, in passato, hanno partecipato guerre, contestazioni, repressioni ed è una condizione relativamente recente quella dello scarso coinvolgimento politico di queste persone - che poi è quello di cui parlavo poco fa, in altri termini.

L'altro filone, quello più romanzesco, in cui si inserisce questo lungo monologo, segue la storia di un particolare gruppo di maschere, i Vigilantes, che alla guida di Gabriele/L'Inquisitore si trovano alle prese con un villain dotato anch'egli di superpoteri, un confronto che li vedrà coinvolti in un finale in cui questi due filoni convergeranno. I Vigilantes sono persone normali, con un lavoro, alcuni persino una famiglia, e una storia credibile dietro le spalle. Il protagonista Gabriele/L'Inquisitore, per esempio, è un giornalista, mentre uno dei suoi compagni gestisce una palestra di sua proprietà, dove il gruppo ha la base. Manlio Gorgia, invece, la maschera il cui monologo accompagna le loro disavventure, è un generale e ha lavorato una vita per lo Stato. Se Gabriele, rispettivamente come giornalista e maschera, avrà a che fare magari con dei portaborse o con la polizia, Manlio racconterà fin da subito un coinvolgimento di ben altra portata.

Ed è questo forse il principale limite di questo libro, non nel senso negativo del termine bensì perché può comportare una certa difficoltà nell'affrontarne la lettura. Dietro la storia del generale Gorgia c'è un intero mondo, molto ben costruito, ma la storia italiana, soprattutto quella recente, non è molto conosciuta. Nei programmi scolastici spesso viene trascurata e anch'io, devo ammetterlo, ho faticato a seguire tutti i riferimenti - perché quello di Tevini è davvero un buon lavoro e leggendo le pagine di Gorgia si ha tutta l'impressione di ascoltare davvero chi li ha vissuti, quei momenti. Per farvi capire, è la stessa sensazione di quando un parente ci parla di un evento di cui non ricordate che pochi argomenti trattati a scuola, a meno che non abbiate approfondito personalmente.

Con questo non voglio dire che il libro sia noioso o che la storia d'Italia sia così ingombrante nell'economia del testo, anzi. Può darsi che questi brani avrebbero meritato un maggiore respiro, come ha scritto per esempio un altro recensore. A mio modo di vedere l'intera parte del generale Gorgia, che all'inizio avevo preso come una finestra sul lavoro di world building dell'autore, è del tutto complementare alle vicende dei Vigilantes e fornisce solide basi alle motivazioni e alle scelte degli altri personaggi. Ed è grazie alla pluralità dei punti di vista (di Gabriele e dei suoi Vigilantes, che sono pur sempre persone, del giovane Pietro, studente e contestatore di sinistra, di Lucio, un po' guastafeste e vessato dalla polizia, di Manlio, coinvolto da decenni con il potere) che  Tevini riesce a dare al lettore una prospettiva che non posso forse definire completa, ma straordinariamente ampia e sfaccettata della problematica su cui mi interrogavo sopra. E dico "straordinariamente" perché non è quello a cui sono abituato, anche se considerando autori importanti come Moore o Miller mi si potrebbe muovere una facile obiezione; dico solo che non è la norma.

Testamento di una maschera è anche un romanzo d'azione, con molti personaggi alle prese ciascuno con le sue chimere e i propri problemi. Nel mio commento ho scelto di dare maggior risalto all'aspetto che più mi ha sorpreso, forse perché distingue un po' questo libro da altri titoli dello stesso genere. È una lettura che richiede un pizzico di impegno, che però viene ripagato e ne risulta una lettura scorrevole e coinvolgente, grazie all'utilizzo di più punti di vista che rendono piena giustizia a ciascun personaggio.

È un libro che quindi consiglio a tutti gli amanti dei supereroi, magari a chi non li ha mai letti in prosa, senza illustrazioni, e a tutti coloro che fossero rimasti incuriositi dalla peculiarità (o dall'italianità) di questo romanzo.

Ci rivediamo tra un paio di giorni con l'intervista all'autore.

____
* Mi riferisco a Paperinik, ovviamente, anche se lo so, non nasce supereroe...

2 commenti:

  1. Che non mi piacciano molto i supereroi, non è esattamente un mistero(contro cit.), però in genere mi piace vederli alle prese con la realtà, magari italiana (in fondo "Lo chiamavano Jeeg Robot" mi era piaciuto moltissimo). Le mie basi di storia italiana recente, però, sono ridicole e, in generale, ho problemi a seguire il filo di romanzi storici (non che questo lo sia, probabilmente). Boh, non mi sono capita nemmeno io. Il titolo mi ha sempre incuriosita moltissimo (ma la mia passione per le maschere viene da Pirandello!) e quindi magari prima o poi lo leggerò anch'io.

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    1. Non c'è a dire il vero un forte contenuto filosofico, ma la questione dell'identità è presente in molte opere supereroistiche per ovvie ragioni, ma altre volte è solo accennata.

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